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1.
Nell’orizzonte degli orientamenti pastorali
Gli Orientamenti Pastorali sono l’orizzonte in cui si situa questa
relazione. Il secondo capitolo degli OP (dedicato alle indicazioni
pastorali) è articolato in due grandi sezioni: quella relativa al
livello di azione della comunità eucaristica (nn. 47-54) e quella
relativa al livello di azione per tutti i battezzati (nn. 56-81).
All’interno della prima sezione, il n. 51 parla esplicitamente del
rapporto tra Chiesa e mondo giovanile.
Ho scelto di trattare il tema ispirandomi appunto al n. 51, pur sapendo
che non si può restringere ad esso il significato del documento in
relazione ai giovani, giacché si potrebbe parlare di tante altre
questoni.
2. I bisogni dei
giovani, talento della Chiesa
I giovani sono il talento della Chiesa; l’affermazione è del n.
51 di OP, che la riprende da NMI 45. L’uso del termine richiama la
parabola evangelica, in cui l’accento è posto sul compito rischioso, ma
doveroso, di trafficare e far fruttare il denaro lasciato dal padrone ai
suoi servi. Personalmente, all’espressione «talento» preferisco la
parola «risorsa», usata al Convegno di Palermo e spesso contrapposta a
«problema». Infatti, mentre «talento» dà l’idea di un oggetto che rimane
comunque passivo, «risorsa» evoca l’immagine di una reale soggettività
e, quindi, suggerisce che la relazione si imposta in termini di vera
reciprocità. Dico questo perché sono convinto - in parte anche per
esperienza - che la vicinanza con i giovani non produce esiti solo nei
loro confronti, ma stimola il rinnovamento di tutta la comunità
cristiana.
Parlando dei bisogni dei giovani non voglio quindi avvallare l’idea che
il problema sia fornire servizi, sia pure spirituali e qualificati; il
problema è sempre quello di aprire relazioni autentiche, che vengano
incontro ai bisogni in un contesto di vera reciprocità. Potremmo dire,
cioè, che i giovani hanno bisogni cui la comunità cristiana - e per noi
oggi le religiose - possono rispondere; ma anche la Chiesa ha bisogno
dei giovani! Nel trattare, quindi, dei bisogni dei giovani, cercherò di
mostrare in che modo la risposta ad essi, nel contesto di una rapporto
autentico, provoca la crescita della comunità.
Detto questo, mi sembra che il n. 51 chiami in causa tre particolari
bisogni, e ne evochi un quarto, trasversale agli altri, ma non meno
importante:
-
il bisogno di senso
-
il bisogno di accompagnamento
-
il bisogno di orientamento
-
il bisogno di essere protagonisti.
2.1. Il bisogno di senso
Il n. 51 sottolinea una rinnovata disponibilità dei giovani
all’accoglienza del Vangelo (disponibilità testimoniata anche
dall’evento della GMG). Tale disponibilità è più volte menzionata anche
in NMI (nn. 9 e 45). Nei numeri dedicati al «discernimento», OP parla di
una rinnovata ricerca di senso e anelito alla trascendenza, come di uno
dei fenomeni culturali che manifestano in questo nostro tempo l’apertura
alla comunicazione del Vangelo. È chiaro che il mondo giovanile vive un
po’ tutti i fenomeni contemporanei a un livello di maggiore intensità
rispetto alle generazioni di adulti.
In cosa consiste il bisogno di senso? In OP 37 se ne parla in questi
termini: il desiderio di riconoscere di essere preceduti da una storia,
[…] essere capaci di perseverare nelle inevitabili oscurità della vita,
[…] riconoscere lo spessore della realtà che ci circonda, nonché della
verità ultima che costituisce anche l’orizzonte verso il quale siamo
tutti incamminati. Il bisogno di senso esprime - in breve - il desiderio
di decifrare e dare sapore alla vita in ogni suo frammento, senza
lasciare inquietanti parentesi irrisolte.
2.2.
Il bisogno di accompagnamento
Traduco così la sottolineatura degli OP sulla necessità di aiutare i
giovani a saper assumere tutte le responsabilità della vita umana, a
partire dalla vita quotidiana. L’accento posto sulla vita quotidiana va
preso sul serio; tra le righe di questa seconda parte del n. 51 si legge
infatti una constatazione preoccupata: i percorsi formativi non riescono
a incidere sui comportamenti quotidiani, rimangono quasi un
compartimento stagno, un frammento tra gli altri frammenti della vita. E
questo non basta: per quanto «forti» siano le esperienze di fede che un
giovane possa fare, è sul terreno della vita di ogni giorno che si gioca
la sua identità cristiana. La cosa è chiaramente percepita da molti
ragazzi, che si trovano però di fronte non solo alla difficoltà
oggettiva di una vita cristiana coerente negli ambienti della
quotidianità, ma anche a una altrettanto oggettiva povertà di strumenti
interpretativi e operativi.
In effetti, i percorsi formativi soffrono di due malattie gravi:
•
sono sostanzialmente limitati agli spazi di Chiesa: le realtà cosiddette
«di ambiente», che cioè operano sostanzialmente nei luoghi della vita
quotidiana, sono nella maggior parte in crisi; di conseguenza, la
maggior parte dei giovani cristiani si forma in spazi ecclesiali. Ciò
indubbiamente porta con sé dei limiti in ordine alla incarnazione nel
vissuto;
•
ma questo sarebbe anche un problema superabile, se non fosse vero un
secondo limite: nella formazione i problemi del vissuto non entrano
quasi per nulla. Non si parla in modo serio di scuola, di università, di
lavoro… Non si elaborano indicazioni e non si offre adeguato sostegno
per praticarle…
Ai giovani viene a mancare in primo luogo questo sostegno formativo,
senza il quale il loro protagonismo stenta a svilupparsi. Infatti, in
mancanza di percorsi praticabili e sostenibili, i giovani, anziché
contestare con violenza, preferiscono ritirarsi in buon ordine.
Oltre al bisogno di formazione, i giovani esprimono anche la necessità
di un accompagnamento individualizzato, per poter individuare e
sostenere le scelte cristiane nel quotidiano. Il bisogno di
accompagnamento è proprio questa esigenza di un sostegno adulto (e
adulto nella fede) per discernere e praticare il bene nella vita di ogni
giorno.
2.3.
Il bisogno di orientamento
Anche qui la mia formulazione traduce l’attenzione vocazionale con cui
si chiude il n. 51. Mi sembra che la prospettiva sia interessante. Si
suggerisce - in sintesi - che tutta la vita del giovane ha una innata
dimensione vocazionale. In effetti la giovinezza è il tempo in cui
maturano e si rendono possibili le scelte di vita collegate al lavoro,
alla dimensione affettiva, al ruolo sociale…
Non possiamo nasconderci che essere giovani oggi è particolarmente
complesso, proprio nel senso che esercitare delle scelte significa
confrontarsi con una moltitudine di possibilità non esistenti in passato
(si pensi alla scelta dell’università, all’indeterminatezza dei percorsi
lavorativi…). Per di più l’esito delle proprie scelte non pare garantire
lo stesso inserimento nel mondo adulto possibile in passato. Da qui (da
cause - cioè - sia strutturali che culturali), il senso della
incertezza, della reversibilità, dello smarrimento; tutto ciò produce
un’angoscia spesso sottile, a volte patente, magari attraverso
comportamenti devianti o fortemente rischiosi.
In tale situazione il mondo giovanile vive un forte bisogno di
orientamento:
-
orientamento alla scelta scolastica
-
orientamento alla scelta lavorativa
-
orientamento alla scelta dello
stato di vita
-
orientamento nei cammini di
preparazione al matrimonio…
Qui per orientamento si intende il sostegno alla scelta (che comprende
la conoscenza di sé, la verifica delle motivazioni, l’intuizione degli
esiti nel quadro del proprio progetto di vita, l’accompagnamento nel
percorso di realizzazione…).
E’ giusto, tra l’altro, notare, che a ciascuna di queste scelte
corrisponde un periodo «sensibile» della vita del giovane. Infatti ogni
decisione importante implica la necessità (o quanto meno l’opportunità)
di rimettere in discussione l’equilibrio dei valori, la qualità delle
relazioni, i progetti di vita… e ciò può generare esiti negativi
(appiattimento di ogni ideale) oppure positivi. Un vero orientamento ha
necessità di guardare alla scelta in prospettiva autenticamente
vocazionale, cioè come a qualcosa che chiama in causa l’interezza del
progetto di vita di una persona (o di una coppia), anche mentre affronta
una questione apparentemente settoriale.
2.4.
Il bisogno di essere protagonisti
Tale bisogno rimane abbastanza inespresso nel testo che stiamo
analizzando. Esso è tuttavia implicito nel concetto stesso di risorsa (o
talento): si tratta del desiderio di essere protagonisti della propria
esistenza. Questo bisogno mi sembra trasversale agli altri tre: chiede,
cioè, che la soluzione alle necessità di cui sopra non vada cercata in
proposte preconfezionate e paternaliste, ma in un processo di autentico
dialogo e reciprocità. Forse oggi non è più il tempo dei violenti
conflitti generazionali e delle contestazioni eclatanti, ma i giovani
sanno comunque sottrarsi con la «ritirata in buon ordine» e
l’indifferenza alle situazioni che li relegano nella passività. Non è un
caso che il recente libro bianco europeo intitolato Un nuovo impulso
per la gioventù europea si ponga proprio l’obiettivo di stimolare e
favorire il protagonismo dei giovani nella UE.
Questo bisogno ci chiede un’attenzione: quella di garantire che ogni
risposta ai bisogni dei giovani li renda protagonisti delle soluzioni
adottate. Questo, del resto, si sposa assai bene con l’idea, espressa in
apertura, dell’importanza di porre relazioni autenticamente reciproche
tra Chiesa (religiose) e mondo giovanile.
3. Le
religiose e i bisogni dei giovani
In OP si parla della vita religiosa in posizione abbastanza defilata
(62), anche se molto importante per quanto riguarda il contenuto: si
tratta infatti del ruolo profetico di testimonianza della carità. E’
chiaro però che molte indicazioni presenti altrove possono essere
applicate, mutatis mutandis, alla realtà della vita religiosa
femminile. Sono opportune alcune attenzioni perché la vita religiosa
femminile possa essere, ed essere percepita, come risposta ai bisogni
dei giovani. Lo sforzo di incrociare la realtà giovanile e il contatto
autentico con essa può portare elementi positivi nell’esperienza delle
persone e delle comunità consacrate.
3.1.
Rispondere al bisogno di senso
La prima risposta che le religiose possono fornire al mondo giovanile è
quella relativa alla ricerca di senso. A questo proposito vorrei
richiamare la questione dei «laboratori della fede». Da Tor Vergata in
poi sono croce e delizia della pastorale giovanile. Tutti ne parlano,
molti li fanno, ma spesso sono riedizioni, con nuova etichetta, delle
medesime iniziative. Invece si tratta di pensare qualcosa di veramente
nuovo. Occorre creare spazi in cui si aiutino i giovani a capire le
domande che nascono dalla vita e a metterle in dialogo con il Vangelo,
ma con un Vangelo in tutta la forza della sua radicalità.
A partire dai discorsi del Papa potremmo definire così i laboratori
della fede:
•
Sono luoghi di ricerca, in cui fare
domande, senza dare nulla per scontato, esprimendo dubbi, emozioni,
esperienze. La natura di «laboratorio» sta proprio in questo lavoro di
analisi e di approfondimento del vissuto, e delle conseguenze sul piano
della fede, della religione, della Chiesa. Servono persone che abbiano
sperimentato la tentazione dell’incredulità e possano quindi aiutare gli
altri a superarla, in direzione di una autentica fede in Gesù Cristo.
•
Sono luoghi in cui è possibile il
confronto e l’incontro serio con Cristo e il Vangelo, attraverso lo
studio, il silenzio, il confronto, la preghiera o il dialogo con una
guida. Ciò esige una comunità credente con cui confrontarsi, amici e
persone che hanno risposto positivamente alla chiamata di Dio alla fede.
Qui si può essere posti con serietà davanti al nucleo fondamentale della
fede, al suo centro, alla radicalità del Vangelo, lasciando da parte le
cose secondarie; chiarendo quali sono gli elementi fondamentali e quali
sono i comportamenti che li traducono nella concretezza.
•
Sono luoghi in cui matura l’adesione, anche sofferta, ma decisa e
felice, la confessione adorante, l’incontro entusiasta, il ritorno dopo
la fuga, il pentimento e l’invocazione accorata. E’ il momento del «Mio
Signore e mio Dio», dell’affidamento, della preghiera, della
celebrazione della vita sacramentale, dell’accostamento ai tesori della
Chiesa, ma in termini rinnovati, incarnati, capaci cioè di portarsi
dentro la vita, illuminata dalla fede.
Un servizio importante per le comunità di vita consacrata è proprio
quello di presentarsi ed essere «laboratori della fede». Questo
significa ricentrare più in profondità le proposte per i giovani
sull’effettivo essere laboratorio, ricerca, sfida, lotta, nuova
attrezzatura, nuovo coinvolgimento della vita quotidiana. La vita
religiosa, da questo punto di vista, ha molto da offrire, perché la
radicalità dei consigli evangelici, incarnata nel carisma del singolo
istituto, può consentire un confronto a tutto campo; la struttura
comunitaria può offrire un contesto che interpella e accompagna; la
spiritualità di ciascuna esperienza può offrire un percorso di
interiorità e di preghiera strutturato e flessibile al tempo stesso.
Tutto ciò chiede il coraggio di battere strade nuove, che consentano un
incontro con quei giovani che si interrogano sul senso della loro
esistenza, a partire dalla propria quotidianità.
Questo confronto col mondo giovanile attorno alla domanda di senso e
alla ricerca della fede è estremamente fecondo. Obbliga a rimettere al
centro l’essenziale, a riaprire con il Vangelo una partita che spesso
tendiamo a ritenere risolta solo perché siamo inseriti in strutture
definite dalla tradizione. L’esigenza di proporre il Cristo nella sua
radicale novità ci rende più nuovi. I giovani sono esigenti: aprendoci a
loro ci scopriamo migliorati; annunciando loro la fede ne riscopriamo la
freschezza; cercando con loro il volto di Cristo ne contempliamo aspetti
sempre nuovi.
3.2.
Rispondere al bisogno di accompagnamento
Per quanto riguarda il bisogno di accompagnamento, il mondo degli
istituti femminili costituisce una grande risorsa. Innanzitutto per la
diffusione capillare sul territorio, ma soprattutto negli ambienti. A
differenza di quanto accade per molte pastorali diocesane, le religiose
sono presenti in moltissimi ambienti della vita quotidiana dei giovani.
I vostri carismi vi portano nelle scuole, nelle carceri, sui luoghi di
lavoro, negli ospedali, in televisione… Oltre che nelle diverse
articolazioni della vita pastorale parrocchiale e associativa, le
religiose hanno l’opportuità di vivere molte altre occasioni di contatto
con il mondo giovanile, sia come singole che come comunità.
Un primo, fondamentale servizio è quello della testimonianza che può
nascere nella condivisione di vita. Stare con i giovani può anche essere
sufficiente, se in questa compagnia la vostra stessa vita, il modo di
affrontare il quotidiano, riesce a essere eloquente. Proprio il Concilio
indica «nella professione dei consigli evangelici […] un segno, il
quale può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a
compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana» (LG 44),
soprattutto nell’aiutare a vivere nella vita di tutti i giorni senza
perdere di vista la sua dimensione trascendente. Che è poi - lo abbiamo
detto - il più comune terreno di naufragio dei giovani: lasciarsi
assorbire dal mondo e accantonare nell’utopistico i desideri e gli
ideali grandi che portano dentro. Incarnare le grandi scelte cristiane,
in modo visibile e feriale, in comportamenti, atteggiamenti… è un grande
aiuto per i giovani. Povertà, castità, obbedienza, sono, da questo punto
di vista, enormi risorse, perché consentono di operare scelte davvero
profetiche e coerenti, in grado di illuminare tutto il popolo di Dio.
Però queste scelte bisogna farle! Un solo esempio (che rimanga tale,
perché è proprio limitato): diciamo ai giovani che, nel contesto della
globalizzazione e dei suoi limiti, occorre rinnovare gli stili di vita e
di consumo, etc. Ora, il limite di queste proposte è che, senza qualcuno
che le incarni felicemente, rimangono un po’ moralistiche. Se c’è però
qualche persona o comunità che le rende visibili e attraenti, i giovani
ci si buttano a pesce! E la vita religiosa ha tutte le potenzialità per
svolgere questo ruolo di testimonianza nei confronti del mondo
giovanile. Bisogna però puntarci e rendersi visibili. Bisogna
soprattutto pensare a modalità di condivisione di vita con i giovani, a
comunità più aperte.
Un secondo servizio è quello dell’ascolto: una recente indagine condotta
da un istituto di Milano su un campione di oltre 1000 adolescenti (a
base nazionale) ha rivelato che, in presenza di un problema, solo il 3%
si rivolge a una figura religiosa, mentre ben il 16% se ne va su
internet; ma i giovani, accanto al grande bisogno di essere ascoltati,
fanno una sostanziale indistinzione tra la figura del prete e quella
dello psicologo.
Questi dati (insieme, beninteso ad altri, anche di esperienza comune),
offrono due indicazioni da non prendere alla leggera:
•
è necessario fornire ai giovani un servizio di ascolto; ma un ascolto
(sono le parole di Mario Pollo che commenta la seconda indagine) capace
di aiutare i giovani a costruire la propria personalità all’interno
di una esperienza di fede;
•
è necessario inventare nuove forme di ascolto, capaci di intercettare i
giovani là dove essi sono davvero disposti a comunicare.
Le religiose sono - o devono essere - in grado di rispondere a entrambe
le sfide. Il ministero dell’ascolto diventa sempre più gravoso per
parroci e preti in genere, spesso in difficoltà ad assicurare quello
sacramentale della Confessione. In una situazione in cui i giovani
chiedono tempo, di tempo ce n’è sempre di meno. Eppure il «perdere
tempo» con loro viene riconosciuto come un grande segno di attenzione e
di amore. Avere del tempo da «perdere» è una risorsa preziosa. E lo è
soprattutto se - e questa è la sfida - l’ascolto sa aiutare a leggere la
propria esistenza nella prospettiva della fede.
Ma questa disponibilità ad ascoltare deve coniugarsi con lo sforzo di
trovare nuovi canali di comunicazione: il problema, infatti, è
incontrare i giovani da ascoltare quando e come serve a loro. Anche in
questo caso credo che le persone consacrate abbiano una grande capacità
di sperimentare modelli nuovi. In fin dei conti ogni congregazione nasce
come un «esperimento», e la natura «inventiva» non dovrebbe mai
abbandonare una famiglia religiosa. In questo le nostre sorelle
claustrali ci sono di esempio. Nel sito giovani.org la rubrica «grata
elettronica» è tenuta da suor Nella Letizia, della comunità delle
Clarisse di Rimini, che ha coinvolto un po’ tutto il monastero in questi
colloqui via e-mail e nei colloqui che da questi nascono, appunto, alla
grata. Si moltiplicano i vari «telefoni amici» a servizio degli
adolescenti e dei giovani. E non sono i soli: la fantasia di qualche
religioso/a ha concretizzato in maniera nuova la disponibilità di
ascoltare i giovani. Certo, un conto è l’ascolto occasionale di uno
sfogo e di un problema, un conto è l’accompagnamento. E questo è vero;
però le relazioni «stabili» (di direzione spirituale) difficilmente
nascono tali: hanno bisogno di crescere partendo, appunto,
dall’occasionalità. Così da un colloquio in una «spiritual room» di
discoteca o in una chat, può nascere un rapporto profondo, che risulta
di grande aiuto per la vita di un giovane o di una giovane.
In tutto questo, sia sul versante della testimonianza che su quello
dell’ascolto, il mondo giovanile può essere una risorsa per le
religiose: la questione cruciale della vita quotidiana e della
condivisione di vita con i giovani dovrebbe obbligare le suore a restare
sempre sulla breccia del carisma originario. In fin dei conti la maggior
parte degli Istituti di vita attiva sono nati attorno all’idea di una
condivisione della vita quotidiana dei poveri, là dove, cioè, c’è
bisogno di sostenere una qualità di vita migliore. Oggi la sfida di
offrire al mondo giovanile la possibilità di condividere un’esperienza
di vita significativa (per loro!) è di grande stimolo a ridefinire
modalità date a volte per scontate, che magari erano eloquenti cento
anni fa, ma che oggi non sono più attuali.
Anche l’impegno dell’ascolto può essere utile alle religiose stesse, non
solo perché stimola la fantasia pastorale, ma perché è capace di aprire
prospettive nuove. Ogni volta, infatti, che si ascolta qualcuno, si
acquista un nuovo punto di vista sul mondo. Se si moltiplicano queste
esperienze per molti giovani e per una comunità che ascolta, si
percepisce che dal dialogo possono nascere davvero molte cose nuove. Un
passo della regola di San Benedetto viene anche dal Papa in NMI 45:
«Capitolo III - La
consultazione della comunità
Ogni volta che in monastero bisogna
trattare qualche questione importante, l'abate convochi tutta la
comunità ed esponga personalmente l'affare in oggetto.
Poi, dopo aver ascoltato il parere
dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra
più opportuno.
Ma abbiamo detto di consultare tutta
la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore
rivela la soluzione migliore».
In sintesi, l’ascolto implica sempre una certa reciprocità; l’ascolto
che si fa come servizio ai giovani può diventare davvero risorsa, anche
in quanto hanno da dire, magari tra le righe, al nostro essere Chiesa (e
comunità religiosa).
3.3.
Rispondere al bisogno di orientamento: la consulenza vocazionale
Rispondere al bisogno di orientamento significa fare un lavoro
«vocazionale». L’espressione va intesa in senso lato: si tratta di
aiutare ogni giovane a collocare le sue scelte importanti dentro un
progetto in cui Dio è parte in causa. Ci sono molti sportelli
informativi, ma nessun livello di informazione, per quanto alto e
sofisticato sia, basta a giustificare una scelta, a renderla un atto
pienamente umano e sensato. Per le religiose, invece, la cosa dovrebbe
essere molto chiara: aiutare un giovane a scegliere significa introdurre
nel processo decisionale i riferimenti al senso di ogni decisione di
vita, che è la propria felicità. Di questo aiuto i giovani hanno estrema
necessità, perché oggigiorno la tentazione delle scorciatoie, che sono
però mortificanti e avvilenti, è molto forte. Il senso di incertezza che
caratterizza l’universo giovanile rende plausibile il compromesso, le
mezze misure, l’accontentarsi… Ma nessuna scelta compiuta in base a
questi criteri può risultare veramente realizzante. Diceva parecchi anni
fa Giovanni Paolo II che la vita è la realizzazione del sogno della
giovinezza. Ma se la giovinezza smette di essere terra di sogni, per
essere solo terra di adeguamento all’andazzo, che ne sarà della vita?
Questo servizio vocazionale ai giovani è molto utile per allargare gli
orizzonti. Spesso la pastorale vocazionale diventa reclutamento, e non
esprime più quell’amore alla vita di ogni giovane che ne è invece la
radice più autentica. La necessità di offrire aiuto disinteressato aiuta
probabilmente a scoprire il senso più autentico di una proposta
vocazionale, che è per la felicità piena di una persona. Aiuta anche a
capire che la pastorale è vocazionale solo se è pastorale, cioè se si
prende in carico tutta la vita di un giovane. Ci possono essere dei
momenti in cui il confronto con una chiamata alla speciale consacrazione
si rende necessario; ma non possiamo limitarci a seguire quella domanda
lì. Non è un caso se certe proposte vocazionali vengono guardate un po'
con sospetto; al di là di una certa ritrosia a porsi anche solo il
problema, c’è però il sospetto (a volte fondato!) che ciò che interessa
è la perpetuazione della specie, e non la vita delle persone.
4. Conclusione
Tutto questo discorso deve essere collocato nell’alveo della comunità
cristiana, della Chiesa locale. C’è infatti un rischio in ogni tipo di
relazione: quello di chiudersi e ritenersi conclusa in sé. Questo è vero
anche per le relazioni spirituali ed educative. Ma nella società e nella
cultura di oggi questo è estremamente rischioso, perché i giovani hanno
la tendenza a vivere «per frammenti», a costruirsi un mondo in cui
convivono elementi anche molto diversi, tutti vissuti con intensità,
tutti capaci di fornire significati, però non comunicanti tra loro. Ecco
allora la necessità della connessione; ogni soggetto educativo,
mettendosi in relazione con altri, che toccano diverse dimensioni della
vita del giovane, diventa capace di servire all’integrazione, e non alla
frammentazione.
Un «laboratorio della fede» che viva isolato dal contesto ecclesiale
rischia di suscitare una fede individualista e chiusa alla missione.
Una testimonianza che risulti episodio isolato rischia di indurre
atteggiamenti elitari e di giudizio nei confronti del popolo di Dio.
Un ascolto condotto da persone che non chiedono e non danno ascolto alla
comunità cristiana rischia di tarpare le ali alle intuizioni migliori.
Un servizio di orientamento che non abbia un orizzonte ecclesiale
rischia di suggerire percorsi vocazionali inadeguati alle autentiche
necessità e capacità dei giovani.
In sintesi: dato che nessun carisma esaurisce la ricchezza dell’essere
Chiesa, ma ne esprime (magari in maniera eccelsa) una dimensione,
assicurare la connessione ecclesiale è necessario per offrire davvero un
aiuto significativo al mondo giovanile e per accogliere in modo efficace
l’aiuto che i giovani possono dare a noi.
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