n. 1
gennaio 2003

 

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di Biancarosa Magliano
 

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Or dunque, coraggio, Zorobabele! Oracolo del Signore. Coraggio, Giosuè… gran sacerdote. Coraggio, popolo tutto del paese. E al lavoro! Ché io sono con voi! Oracolo del Signore! Il mio Spirito è in mezzo a voi, non temete…”. Sono espressioni che si trovano nel secondo capitolo del libro del profeta Aggeo.

Con lui ha inizio l’ultimo periodo profetico, quello dopo l’esilio. E’ il periodo della “restaurazione”. Infatti Aggeo vive nel momento decisivo per la formazione del giudaismo, quello della nascita della nuova comunità di Palestina. Egli, come il profeta Zaccaria, spinge il governatore Zorobabele e il sommo sacerdote Giosuè, il popolo tutto, a riprendere i lavori della ricostruzione del tempio. E’ uno stimolo, un pungolo per tutti, nessuno escluso; vi sono richiamati e coinvolti coloro che hanno autorità o competenze specifiche e il popolo che deve comunque dare il suo apporto, di appoggio innanzitutto, e di fatica, di lavoro e di fiducia e speranza. Quasi con la certezza che l’avvenire sarà bello, affascinante, perché il Signore è lì con loro, divinamente e teneramente presente, a sostenerli, a guidarli, a difenderli. A benedirli.

In questa pericope vi è una insistenza nell’utilizzo di quella formula che, nella Scrittura, normalmente accompagna importanti dichiarazioni specie nella predicazione dei profeti: “Oracolo del Signore”.

Vi è un invito pressante a non demordere, a non mollare, quasi succeda quel che succeda. E’ detto per il governatore; è ripetuto per il gran sacerdote; è ribadito per il popolo: “Coraggio!”. Sta per iniziare un’epoca nuova. Il periodo dell’esilio si è concluso. E dalle modeste realtà presenti del tempio, la parola del Signore proietta gerarchia e popolo verso un radioso avvenire. Il Signore agisce, potremmo dire, in modo nuovo nel cuore degli uomini, ma anche negli eventi della storia. E la ‘sentenza’, il richiamo è suo, principalmente suo: “Oracolo del Signore”. Qui il profeta è esistenzialmente tale: parla nel nome del Signore, rende esplicita la volontà di Jahvé.

Ci sembra che queste parole del profeta possano dir qualcosa anche a noi in questo inizio d’anno. Si tratta di “vivere con passione il presente” e di “aprirci con fiducia al futuro”. Accogliere quel presente, anche modesto, anche di minoranza, anche di sofferenza, a volte di nebulosità, forse di dolenti e angosciose spaccature, a volte di vicende che hanno tutto il sapore del tradimento, nel quale ci tocca vivere e agire. I problemi vanno affrontati, discussi, con l’atteggiamento dell’umile, del pubblicano che in fondo al tempio sa riconoscere e ammettere il proprio errore, ma anche con la forza della propria verità. Scrive Rupnik: “Il religioso è una personalità ‘fiera’, che parla senza paura, che agisce senza timore perché non ha interessi personali, perché non cerca per sé, e perché chi gli sta di fronte si dovrebbe sentir raggiunto da uno sguardo di benevolenza”. Senza confidare nelle nostre sole forze e sulle nostre capacità che sono ben poca cosa, ma sulla protezione paterna e materna di colui che tutto può. Che può fare tutto ciò che vuole: “Tutto ciò che vuole egli lo fa”, prega il salmo.

L’atteggiamento logico, allora, è quello di disporsi ad accogliere e “valorizzare” la presenza assicuratrice del Signore Dio e Padre: “Il mio Spirito è in mezzo a voi, non temete”. Lo Spirito è soffio di vita, è amore, è potenza, è intraprendenza. E’ coraggio. Il coraggio e l’ardore, questo coraggio e questo ardore vengono da Lui. Di Davide, affranto per le razzie commesse dagli Amaleciti, è detto che “ritrovò forza e coraggio nel Signore suo Dio”. Ester, per amore del suo popolo, deve presentarsi al re e rendergli patente la situazione di sevizie cui esso è sottoposto. Prima rivolge al suo Signore una intensa e non breve preghiera tra cui dice: “Ricordati, Signore; manifestati nel giorno della nostra afflizione e a me da’ coraggio, o re degli dèi e signore di ogni autorità”. San Paolo nella Lettera ai cristiani di Efeso afferma che “Cristo Gesù nostro Signore ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui”.

La parola coraggio è composta da cor e agere. Il che significa, tradotto, agire con il cuore. Quindi operare con coraggio significa operare con il cuore. Il coraggio non è sfrontatezza, impudenza, arroganza. Il coraggio include modestia; richiede a volte pazienza, temporeggiamento, ma non velleità o codardie, perché il coraggio cristiano è sempre accompagnato da fiducia, dal “non temete” di Dio.

Con questa fiducia diamo inizio al nuovo anno.

Più che la novità della grafica ci interessa la fedeltà all’impegno che, per ora, ci è assegnato. Avremo attenzione per la vita consacrata nella globalità del suo essere e delle sue attività, ma anche dell’incidenza che essa deve avere nella ‘umanizzazione del mondo’. Avremo qualche nome nuovo perché il Signore è largo nei suoi doni e altri già conosciuti e apprezzati e, anche, cercati.

Durante l’ultimo Consiglio nazionale USMI, tenuto a Roma, nei giorni 29 novembre-1 dicembre 2002, da parte di tutte le partecipanti - espressione delle religiose presenti in Italia - è stata riaffermata la necessità di offrire spazi e contenuti per la formazione così da affiancare persone e comunità nel raggiungimento di quella maturità che favorisca il “tenere alta la qualità della vita”. Perché non possiamo né dobbiamo vivere da “accasate”. Perché è necessario vivere un’esistenza che sia segno di valori più alti. In sintesi le nostre persone e le nostre comunità devono ripartire da Cristo, re-innamorasi di Lui.

E la nostra fiducia è riposta fondamentalmente in Lui, il fedele. La nostra certezza si fonda infatti sulla fedeltà del Signore. Egli ha detto: “Coraggio! ...Non temete! ...Io sono con voi!”.

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