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Ingredere mente cum laeta; sedet in limine
pax. E’ una delle tante simpatiche frasi latine scritte sui portali di molti
edifici del Nomentano in Roma. “Entra con l’animo sereno; sulla soglia ha la sua
sede la pace”. Passa pure tranquilla attraverso questo uscio; ti imbatterai con
la pace che lì ha posto la sua dimora. Non vi sta per un momento; non ha
l'atteggiamento del pellegrino, del viandante; non è lì in piedi, di passaggio,
pronta ad andarsene al minimo sentore di stanchezza propria o di rifiuto altrui.
Essa ha determinato in quel punto il suo fermarsi; il suo attenderti.
E torna alla
memoria come per assonanza quel breve poema che è il salmo 121. Sono parole di
consiglio, augurio, preghiera: «Domandate pace per Gerusalemme; sia pace a
coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura… Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: “Su di te sia pace!”».
La pace è
invocata come custode, al pari delle sentinelle, della città verso la quale i
pellegrini ogni anno camminavano per goderne lo splendore, per adorarvi Jahvé
nel tempio a lui dedicato e sua dimora. Verso questa città saliva effettivamente
ogni anno anche Gesù, il figlio del falegname di Nazaret, anche lui invocando
pace…
Le mura della
città che avevano in quel tempo e in quel contesto una importanza enorme,
totale, diventano sostegno e difesa non soltanto con la potenza materiale della
loro impostazione, ma con la forza di qualcosa di più profondo e più umano: la
pace. «Su di te sia pace!». E’ un augurio di una pregnanza straordinaria.
La pace vi è
invocata come guardiana e come benedizione: «Su di te sia pace!». Sia lì a
proteggerti, a custodirti, a difenderti.
Da mesi in modo
drammatico, persistente, continuativo, tutte, o quasi, le diplomazie del globo
umano, si stanno muovendo, tessendo relazioni, interpretando e inviando messaggi
di pace e di dialogo e si ascoltano, o leggono, altrettanti messaggi di frenesia
spaventosa di guerra, di rotture, di distruzioni di massa. Quasi una brama di
spazzare dal mondo chi, secondo la loro opinione, è causa di tragedie, esercizio
di dittatura. E tutti, apparentemente, vogliono che, finalmente, sulla soglia
del mondo sieda in modo perenne la pace. «Sedet in limine pax».
Ma, come ha
ammesso lo stesso cardinale Roger Etchegaray in occasione del primo conflitto
del Golfo, or sono dodici anni, la pace è un bene vulnerabile; può essere
sprecato, frantumato o addirittura, distrutto. Ammesso che esista sulla soglia,
è possibile pestarlo, eluderlo. Non farci caso, ignorarlo.
Abbiamo mai
pensato che sulla soglia delle nostre case, delle nostre comunità debba
trovarsi, seduta, la pace? Così che chi vi entra, respira accoglienza,
disponibilità di tempo per l’ascolto, sororità, spirito autentico di servizio,
dedizione, condivisione di momenti di preghiera? Percepisce una vita diversa da
quella di sempre, avverte la presenza di testimoni di valori più alti? Vi scopre
un rifugio per le proprie angosce, una soluzione per i propri tormenti? Capisce
che le nostre comunità sono centri di irradiazione culturale?
Abbiamo mai
pensato che sulla soglia del nostro cuore debba avere preso stabile dimora la
pace? Quando in esso vi è accumulo di rancori, di frustrazioni, di gelosie, di
invidie, di individualismi, di aggressività, vi è in sintesi disordine, la pace
se ne è andata; ha imboccato altre strade.
La pace vera ha
una dimensione spirituale e radicale che si fonda su una vita evangelica vissuta
senza mezzi termini. A questa pace ci si dispone, come è stato scritto in questi
giorni, ‘con la conversione del cuore’. Ecco: far sedere sulla soglia del nostro
cuore la pace… Essa aiuta a far risvegliare, perché prenda il sopravvento, la
parte migliore, la più nobile, che esiste in ciascun uomo e in ciascuna donna.
Essa è fonte di coraggio, di intraprendenza, perché è prova della presenza di
Dio. La vera pace, quella che nessuno può turbare, viene soltanto da Lui.
Facilita ed è allo stesso tempo principio e causa di un’esistenza autentica,
nella verità, nell’onestà, nella giustizia.
Citiamo ancora
una volta Etty Hillesum: «Il nostro unico obbligo morale è quello di dissodare
vaste radure di pace in noi stessi, e di estenderle a poco a poco, finché questa
pace non si diffonderà verso gli altri. Più pace ci sarà negli esseri, più ce ne
sarà in questo mondo in fermento».
Non siamo
utopiste. Non sogniamo l’impossibile. Vi possono essere striature nelle nostre
comunità. Zone d’ombra e zone di luce. Zone bianche e zone nere. Le striature
esistevano anche nella comunità primitiva, persino nel gruppo degli apostoli.
Discutevano chi tra di loro fosse il primo, il più grande, il più degno di
sedere alla destra del Maestro. Le fatiche, le animosità, le chiusure non sono
esclusività della società e delle comunità di oggi. Per questo si è potuto
sempre parlare, senza punto sbagliare, di conversione.
Sappiamo e ne
abbiamo la prova che in tutte le nostre comunità le intercessioni a favore della
pace si susseguono a scadenza continua. Senza intermittenza. Religiose
partecipano a manifestazioni a favore della pace. Alcune si sono portate sino a
Bagdad con l’intento di una presenza e di una parola pacificante. Il documento
Ripartire da Cristo, esorta chiaramente a «non dimenticare i problemi della
pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche».
Allora possiamo
ripetere con fede nuova il salmo 121: sia pace sulle nostre case, sia pace nelle
terre martoriate dove religiose e religiosi in fedeltà alla propria vocazione e
missione con coraggio indiscusso rimangono per esservi ancora e sempre testimoni
efficaci di pace.
Riportiamo come
conclusione quanto Sabatino Majorano scriveva sul n. 1 della nostra rivista a
pagina 18:
In un contesto come il nostro in cui non manca chi si serve di Dio per dividere
e contrapporre, la testimonianza delle persone e delle comunità consacrate dovrà
essere caratterizzata da questa convinta diaconia di pace, a tutti i livelli,
senza stancarsi mai. E’ in gioco il futuro del mondo secondo il disegno amoroso
di Dio.
Nella stessa via su altro
edificio di cui sopra è scritto: «Pax huic domui et omnibus habitantibus in
ea». E’ l’augurio di tutte noi.
Roma 8 marzo
2003
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