«Ho visto un uomo che suonava un canto
zigano su un violino di legno, con mani di carne. Nel violino si
incontravano il suo cuore e la musica. Quelli che lo ascoltavano non
avrebbero mai potuto indovinare che quel canto era difficile; che per
molto tempo aveva dovuto seguire le gamme, rompersi le dita, lasciare
che le note e i suoni si immergessero nelle fibre della sua memoria. Il
suo corpo non si muoveva quasi, eccetto le dita, eccetto le braccia. Se
aveva lavorato a lungo per possedere la scienza della musica, era la
musica che adesso lo possedeva, che lo animava, che lo proiettava fuori
di sé come un incantesimo sonoro. Sotto ogni nota che suonava si sarebbe
potuto ritrovare una storia di esercizi, di sforzi, di lotta; e ogni
nota se ne fuggiva come se il ruolo fosse finito quando aveva tracciato
con un suono giusto, esatto, perfetto, il cammino a un’altra nota
perfetta. Ogni nota durava quanto doveva. Nessuna iniziava troppo
presto. Nessuna si attardava. Servivano a un soffio impercettibile e
onnipotente» (M. Delbrêl).
Ho scelto questa
suggestiva immagine, quale metafora della nostra identità e missione di
donne consacrate: uno ‘spazio vitale’ nel quale risuona senza forzature,
né stonature la buona musica del Vangelo, musica che,
ancor prima di proiettarci nell’annuncio missionario, ci possiede e
continuamente ci anima. Solo quando le “note” del Vangelo pervadono la
vita è possibile far cogliere il fascino della nostra vocazione di donne
consacrate; diversamente l’annuncio risulta disarmonico, stonato,
incapace di coinvolgere gli altri nella melodia, nella danza...
E’ proprio questo il
compito delle animatrici vocazionali: essere donne attente alla
melodia dello Spirito, disponibili a lasciarsi guidare nella
sua danza, coinvolgendo anche i giovani che silenziosamente tendono la
mano.
Per eseguire con fedeltà
e creatività la melodia evangelica che ci è stata
affidata, così che tutta la nostra esistenza risuoni vocazionalmente e
sia un servizio alla vocazione dei giovani, è necessario anche per noi
esercitarci con costanza, verificare e ripensare la nostra
presenza di religiose nell’attuale contesto sociale, culturale,
ecclesiale perché non ci sia alcuna dissonanza con il Vangelo della
vocazione.
Servire
la vocazione
In tal modo rispondiamo
all’appello che il Santo Padre ci ha rivolto nel suo messaggio per la
40a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, invitandoci
a fare della nostra vita un dono, che nasce e si esprime attraverso il
servizio e che, quando è gratuito e totale, suscita anche negli altri la
disponibilità a servire. Infatti – si dice nel messaggio – «servire è
vocazione del tutto naturale, perché l’essere umano è naturalmente
servo, … Servire è manifestazione di libertà dall’invadenza del proprio
io e di responsabilità verso l’altro; servire è possibile a tutti,
attraverso gesti apparentemente piccoli, ma in realtà grandi, se animati
da amore sincero».
Servire la vocazione
– cioè la felicità – di ciascuna persona perché faccia della propria
vita un dono è la missione prioritaria di una consacrata; è rendere
efficace quella generatività che è propria di ogni vocazione e di ogni
carisma.
Servire la vocazione
significa adoperarsi - secondo le parole di Paolo VI - perché nessuno
sia privato di ciò che deve sapere per rispondere alla propria
vocazione.
Servire la vocazione
significa sostenere i giovani nelle loro scelte, perché escano
dall’indecisione paralizzante per aprirsi alla dimensione vocazionale
della vita.
Servire la vocazione
significa diffondere una mentalità a favore della vocazione dentro una
cultura antivocazionale.
Tale servizio alla vita
e alla vocazione dei giovani esige alcune conversioni pastorali che ogni
religiosa animatrice vocazionale deve assumere, affinché il dono della
vita consacrata diventi affascinante e comprensibile e susciti vocazioni
al servizio.
Troppe volte, invece, la
vita religiosa oggi appare incomprensibile e estranea alla vita dei
giovani; si riscontra ancora un’evidente separazione tra la vita
religiosa e la realtà circostante, che ci pone “ai margini della vita
quotidiana”, per non dire “fuori dal mondo”; tale separazione certamente
non favorisce la comunicazione del Vangelo della vocazione in un mondo
che cambia, anzi costituisce un ostacolo. Si tratta dunque di
individuare “vie nuove” per ristabilire efficaci canali di comunicazione
dei valori vocazionali.
Un servizio che nasce dalla ricerca
Dentro l’attuale
contesto - caratterizzato dalla categoria del cambiamento - condizione
indispensabile per servire la duplice fedeltà a Dio e all’uomo è
l’atteggiamento della ricerca.
Per esercitare il
servizio dell’animazione vocazionale è necessario dunque essere prima di
tutto e soprattutto donne dal cuore interrogante, consapevoli che solo
un cuore interrogante è capace di suscitare domande, specialmente in
ambito vocazionale.
La nostra passione per
Dio si misura dalla nostra ricerca: di fronte alle situazioni, talora
così complesse, non possiamo accontentarci di risposte facili, scontate,
superficiali; in quanto animatrici vocazionali prima ancora che
suscitare domande, siamo chiamate a essere donne che se le pongono, che
sanno stupirsi, che non entrano nell’abitudine del “si è sempre fatto
così”, ma si interrogano continuamente sulla propria storia, su quella
dell’Istituto di appartenenza, sulla vita dei giovani che Dio affida,
sulla direzione verso la quale lo Spirito li sta conducendo…
La nostra vocazione di
donne consacrate ci spinge ad andare “oltre”, “oltre” le apparenze,
“oltre” il già detto e già fatto, oltre i confini delle nostre
sicurezze, delle nostre strutture.
Solo mediante questo
atteggiamento costante di ricerca, di lettura attenta dei segni dei
tempi, di discernimento, saremo in grado di vivere una fedeltà dinamica
a Dio che si rivela e ai fratelli che aspettano qualcuno che si metta al
loro fianco. Vogliamo essere donne che, pur avendo chiaro l’orizzonte
dentro il quale si muovono: identità carismatica, missione, ecc. non
smettono di ascoltare, di cercare, e di cercare per sé e per gli altri.
Un
servizio ai giovani che si fa prossimità
In «un mondo che
cambia», la nostra prima preoccupazione consisterà nell’ascolto
delle attese, speranze, desideri che animano il cuore dell’uomo di oggi,
in particolare dei giovani.
Siamo di fronte a
giovani fondamentalmente soli, confusi, feriti “dal benessere”, incerti
davanti alle scelte per il proprio futuro. Questa presa di coscienza
della realtà giovanile ci interpella profondamente: per comunicare il
Vangelo della vocazione oggi è necessario prima di tutto vivere la
prossimità con i giovani, troppe volte lasciati soli dentro il
disorientamento esistenziale. Solo ricollocando la nostra tenda in mezzo
ai giovani, attraverso uno stile di presenza materno, potremo prenderci
cura di loro e sostenerli nelle scelte, aiutandoli ad uscire
dall’indecisione paralizzante e ad aprirsi alla dimensione vocazionale
della vita.
Servire i giovani
significa ancora mettersi al loro fianco nella ricerca, perché non si
scoraggino, ma sappiano guardare con fiducia al futuro. Per utilizzare
un’immagine: «Evangelizzazione: è un mendicante che va dire a un
altro mendicante dove insieme possono trovare da mangiare». E’
questa la prima nostra missione.
Un servizio
al femminile secondo il progetto di Dio
Il nostro servizio ai
giovani poi si caratterizza per i tratti tipicamente femminili, che
costituiscono la ricchezza della nostra vocazione e missione nella
Chiesa. Per esprimerli occorre individuare quale strada Dio abbia scelto
per rivelarsi alla donna e per mezzo della donna; consultando il dato
biblico emergono alcune caratteristiche femminili di cui vogliamo
riappropriarci perché la nostra esistenza di donne consacrate diventi
autenticamente epifania di Dio.
Il primo tratto è la capacità della
donna di accogliere il mistero. La donna è più vicina al mistero per
il gioco di vita e di morte che porta nel suo grembo. Si tratta di
accogliere il mistero della vita, di Dio, di colui che ci è davanti,
senza la preoccupazione di comprenderlo e di impossessarsene, accogliere
con gratuità, sapendo che è proprio dall’accoglienza del mistero che
scaturisce la vita: le radici dell’albero stanno nella profondità della
terra e quanto vive nella luce proviene dall’oscurità.
Annunciare il Vangelo al
femminile significa ancora annunciare un Dio che vuole incontrare
l’uomo non sulla strada della perfezione, ma piuttosto lungo i
sentieri del suo abbassamento; un Dio che ha i tratti della
benevolenza, della tenerezza, della misericordia; un Dio che ha viscere
materne. In quanto donne siamo chiamate a dire a chiare lettere,
attraverso la nostra esistenza, che Dio non ci salva in virtù della sua
onnipotenza, ma in virtù della sua impotenza, cioè della sua
misericordia.
Un
servizio inscritto nella nostra corporeità
La nostra riflessione
al femminile può essere spinta ancor più alla radice, nella
consapevolezza che il primo annuncio del Vangelo della vocazione è
inscritto nella nostra corporeità femminile, ossia nel significato,
nella vocazione che Dio ha già inscritto nel nostro corpo.
Così, radicalmente,
possiamo leggere tra le pieghe della nostra identità femminile il
contenuto primo di un annuncio che Dio vuole che passi attraverso il
nostro corpo di donne.
Il nostro corpo
annuncia la relazionalità costitutiva della persona e che si esprime
in modo eccelso nella donna attraverso la maternità, come capacità di
fare spazio, di accogliere l’altro, di contenerlo, e poi via via
lasciarlo vivere nella sua autonomia, aiutandolo a distaccarsi da sé.
E’ ancora nella
maternità che emerge un tratto peculiare della vocazione femminile: la
coscienza del limite. Una madre si sente chiamata interiormente a
vivere l’infinita pazienza di chi ascolta il distillarsi della vita del
figlio giorno per giorno nel proprio ventre. Di fronte alla vita
dell’altro, nel nostro caso dei giovani, non bastano le competenze, i
titoli, i progetti più o meno razionali; occorre ammutolire, attendere
con pazienza, allargare gli spazi dell’intimità.
Strettamente connessa
alla maternità è la cura della vita, - tratto tipicamente
femminile - che si manifesta nelle sue diverse forme: l’attitudine a
nutrire, a lenire le ferite e alleviare la sofferenza.
La cura della vita, si
fa azione educativa attraverso l’accompagnamento, l’incoraggiamento, lo
sguardo valorizzante, che sa dare fiducia e sostenere i passi incerti
della crescita. Prendendosi cura dell’altro una donna sperimenta il suo
essere dono e nello stesso tempo promuove nel figlio la capacità di
donarsi.
Nella donna infine c’è
un segno particolare, nel parto, di una sofferenza fisica
strettamente legata alla generazione e quindi alla dimensione positiva
della gioia.
Anche nell’educazione
una madre rivive il travaglio del parto a piccole dosi quotidiane.
Rigenerare significa accogliere in ogni momento la differenza
dell’altro, anche quando questa accoglienza comporta la morte a se
stesse1.
Alla luce dei
significati racchiusi nel nostro corpo femminile diventa ancor più
evidente la necessità di recuperare la ministerialità educativa
che ci è propria per divenire accanto alle giovani in ricerca figure di
riferimento e guide sapienti. La capacità intuitiva del genio femminile
ci permetterà di dare un apporto decisivo nell’ambito del discernimento
vocazionale femminile. Questo riappropriarci del carisma
dell’accompagnamento, probabilmente segnerà una svolta nella pastorale
vocazionale italiana.
Presa coscienza della
ricchezza umana, spirituale, carismatica, contenuta nel genio femminile
e nella vita consacrata, risuona con maggior forza l’invito di S.
Agostino: Donna Consacrata, «diventa ciò che sei!».
Un servizio che esige conversione
Per concludere addito
alcune conversioni personali e pastorali, senza le quali l’annuncio del
Vangelo della vocazione al femminile rischia di essere vano, inadeguato,
inefficace.
Solo alcuni passaggi:
La fedeltà al mondo che
cambia e al Vangelo ci chiede di convertirci a uno stile pastorale
ermeneutico: attraverso il quale mettere continuamente in
rapporto la fede e la cultura dentro la quale la fede è chiamata a
incarnarsi. Si tratta di far dialogare continuamente – prima di tutto
nel nostro cuore di donne consacrate – le istanze che ci vengono dal
mondo e il tesoro di fede e di grazia di cui siamo depositarie,
scoprendo che le due realtà, se messe in dialogo, si arricchiscono
reciprocamente. Il binomio fede e storia non deve mai disgiungersi a
partire dalla nostra vita interiore ed apostolica.
Assumere come
habitus interiore ed esteriore un servizio gratuito a tutto campo
alla vita dei giovani, facendo risuonare in ogni ambiente
l’annuncio della vita come vocazione. Ciò significa vivere
«vocazionalmente» ogni aspetto della nostra vita religiosa e della
nostra azione apostolica, suscitando attorno a noi sensibilità e
attenzione vocazionale: o si è vocazionalmente sempre o non si è
vocazionalmente mai.
Prendere coscienza
che la nostra vocazione femminile ci deve portare a essere per le
giovani figure di riferimento significative, personali e
comunitarie, capaci di dare concretezza alla proposta di modelli oltre
che di valori. Le giovani attendono chi sappia proporre stili di vita
autenticamente evangelici e cammini di iniziazione ai grandi valori
spirituali della vita umana e cristiana. Inoltre comunicare la nostra
esperienza di vita ci permette di farne memoria e di riscoprirne in modo
sempre nuovo la bellezza.
Avere l’onestà e il
coraggio di non arrendersi davanti alle evidenti sconfitte e alla
difficoltà di trasmettere la bellezza di cui ci sentiamo eredi e
testimoni, ma secondo l’augurio dei nostri Vescovi: «‘andare al
largo’, salpare senza paura, non temere la notte infruttuosa, riprender
con fiducia la pesca. Vogliamo soprattutto dare gloria a Dio ed essergli
profondamente grati. Attraverso l’incarnazione di suo Figlio, egli
infatti ha deposto nel grembo della Chiesa il seme di una speranza che
non delude. E’ ciò, che umilmente e senza tentennamenti, vogliamo fare
nel prossimo futuro». (CVmc, presentazione).
Dio vuole ancora oggi
rivelarsi ai giovani del nostro tempo e suscitare in loro la vocazione
al servizio, attraverso la nostra vita di donne a lui consacrate. E’
come se risuonassero ancora oggi, per ciascuna di noi, quelle parole che
Gesù duemila anni fa rivolse ai suoi discepoli quando una donna, con
profumo di nardo prezioso, cosparse i suoi piedi:
Lasciatela
libera di fare quello che desidera, perché è l’amore che la ispira.
Lasciatela libera:
lei mi conosce attraverso l’amore e sa ciò che desidero e ciò di cui ho
bisogno.
Lasciatela libera di
annunciarmi: è piena di amore e di entusiasmo…
Lasciatela libera:
lei realizzerà con me soltanto opere di bellezza, opere che saranno
un’effusione di amore. In realtà ho bisogno solo di questo ministero, un
bisogno urgente. Perché il mondo per il quale io ho dato la vita muore
senza festa e senza acqua, senza luogo di adorazione e senza canto,
senza danza e senza colori, senza speranza e senza giardino.
E’ di questo
ministero che ho bisogno: non avete letto che, mentre asciugava i miei
piedi con i suoi capelli, tutta la casa si riempiva di profumo?
Ad essa ho inviato
il mio Spirito perché mi chiami, mi desideri, perché attenda con ansia
la mia venuta. Lasciatela, lasciatela libera di fare2.
1.
Per ulteriori approfondimenti: Attilio Danese e Giulia Paola Di
Nicola, Lui e Lei (torna al testo).
2. cf Maria Teresa
Porcile Santiso, La donna spazio di salvezza, EDB, Bologna 1996,
348-349 (torna al testo).
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