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Lo aveva già
sottolineato un po’ di anni fa don Tonino Bello (di cui quest’anno
ricordiamo i dieci anni dalla morte), in un suo dolcissimo saggio sulla
figura di san Giuseppe1:
oggi non si ripara più nulla! Grazie alla imperante filosofia dell’«usa
e getta», tipica della società dei consumi, davvero buttiamo via di
tutto: quaderni appena iniziati, vestiti che sono ormai demodé (ma fuori
moda rispetto a che cosa, non lo sappiamo bene), contenitori di ogni
tipo, piatti interi di cibo… e poi anche affetti, amicizie, ricordi,
sentimenti.
Se dovessimo
stilare, come fecero gli antichi greci e romani, una sorta di classifica
di quelle che sono le «opere» distintive della nostra civiltà odierna,
non potremmo certo tralasciare le discariche: infatti, se è vero che gli
enormi immondezzai a cielo aperto non hanno proprio nulla di artistico,
è però anche innegabile che essi parlano di noi, del nostro lavoro,
della nostra cultura, del nostro modo di vivere.
In questo
contesto, sobrietà significa non certo azzerare i consumi, bensì
contenerli, attraverso un uso avveduto degli oggetti – di qualsiasi
genere essi siano –, il che comporta anche un sapiente riutilizzo degli
stessi. Ridurre, recuperare, riparare e rispettare sono i quattro
imperativi, i quattro pilastri su cui si poggia la scelta di sobrietà
coniugata alla nostra vita quotidiana2.
L’ultimo di questi suggerimenti sta un po’ alla base degli altri tre: io
sono chiamata a rispettare - pur dando ad esse il giusto valore - le
cose che possiedo e che aiutano e molto spesso facilitano la mia vita.
Dietro il rispetto per le cose c’è il rispetto per l’uomo, per gli
uomini che le hanno prodotte, per il loro lavoro, per il loro impegno,
per la loro fatica. Ancora, dietro il rispetto per le cose c’è il
rispetto per il creato, per la natura che fornisce tutte le materie
prime per produrre questi oggetti e che necessita il nostro aiuto per
smaltirli in maniera più assennata.
Sulla base
del rispetto, dunque, è possibile anche imparare a recuperare, riparare,
riciclare. Ciò significa svincolarsi dalla logica dell’«usa e getta» e
da quella, altrettanto perversa in quanto acceca la nostra capacità di
scelta, delle mode, dell’ in and out.
Questa
lezione di sobrietà ci è esemplarmente impartita dai poveri e io
ringrazio il buon Dio per avere l’opportunità quotidiana di vedere e
sperimentare un tale profetico magistero. I poveri non gettano nulla, i
poveri sanno scorgere il possibile riutilizzo di qualsiasi oggetto,
anche il più sporco, il più scolorito, il più crepato, sbeccato,
sbrecciato… Se a un povero tu dai in mano una tanica vuota, subito la
utilizzerà per conservarvi l’acqua; di una scatola vuota di gelato ne
farà una fioriera per l’altare della Chiesa e di una di pomodori pelati
un vaso per le piante di casa propria. In questo, i poveri sono come i
bambini, che nei loro giochi sanno - con maestria e con fantasia - fare
uso di qualsiasi oggetto, anche di quelli che, secondo l’ottica di noi
adulti che abbiamo dimenticato di essere stati bambini, sono del tutto
inutilizzabili.
Dai poveri ci viene dunque
questo insegnamento così importante per il futuro di tutti noi e del
nostro mondo ed è bello notare come, proprio dai cosiddetti «bassifondi
della storia», dalle discariche delle grandi megalopoli del Sud del
mondo, provengano alcuni dei più interessanti progetti di cooperazione,
legati proprio a questa logica del riciclaggio.
E noi
consacrati? Forse dovremmo assumerci più responsabilità e ricoprire un
ruolo più di primo piano in questa ricerca di sobrietà riguardo ai
nostri consumi: perlomeno dovremmo comprendere e convenire che,
mettendoci acriticamente sulla scia della logica del consumismo,
tradiamo le nostre stesse origini, il sogno dei nostri padri e delle
nostre madri che, sulle rovine dell’Impero romano, seppero promuovere
uno sviluppo, sostenibile e armonioso, del loro ambiente. I nostri padri
e madri che, in quelli che altri poi denominarono «secoli bui», seppero
portare la luce del Vangelo sposata con uno stile di vita semplice,
austero e rispettoso del creato e dell’uomo. Uno stile sobrio, per
l’appunto, come quello che tanti cittadini di questo nuovo impero ormai
in declino attendono di vedere da tutti noi.
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