Cenni
biografici
A Castelletto,
paesino affacciato sul Lago di Garda, ai piedi del Monte Baldo, nasce
Madre Maria il 12 novembre 1862.
È battezzata con il nome di Domenica, ma tutti la
chiamano “Meneghina”. Primogenita di quattro fratelli, cresce circondata
dall’affetto dei genitori, Gian Battista Mantovani e Prudenza Zamperini.
La sua fu una famiglia serena, laboriosa, povera come tante altre di
quel tempo, ma ricca di valori umani e cristiani.
Riceve una solida educazione alla fede, tanto in
casa che fuori, frequenta le prime tre classi della scuola elementare e
percorre tutte le tappe dell’iniziazione cristiana.
È particolarmente attenta all’educazione
catechetica parrocchiale, e diventa ella stessa un’assidua ed efficace
catechista.
Nel 1877 Domenica incontra per la prima volta don
Giuseppe Nascimbeni, prima curato e poi parroco di Castelletto, e tra i
due sorge una profonda intesa spirituale che sarà poi lo strumento della
Provvidenza per la fondazione dell’Istituto.
Intanto la ragazza progredisce spiritualmente.
Sotto la guida sapiente del Nascimbeni diviene l’animatrice delle
associazioni, del catechismo, della cura degli ammalati e dell’ornamento
dell’altare. Erano queste attività a dare ali alla sua pietà e alla sua
fede profonda e semplice. Nasceva, così, in lei il desiderio di una
totale consacrazione a Dio e all’età di 24 anni emette il voto di
verginità nelle mani del suo parroco.
Il suo esempio viene prontamente seguito da altre
tre giovani: questo evento può essere l’inizio dell’Istituto delle
Piccole Suore della Sacra Famiglia (6 novembre 1892).
Da questo momento ogni energia fisica,
intellettuale, spirituale della Mantovani, sarà al servizio
dell’Istituto, del quale è la Madre Cofondatrice insieme col Nascimbeni.
Come Figlia e Madre collabora attivamente con il
Fondatore per lo sviluppo della nuova famiglia religiosa e s’impegna a
incarnare, nella sua genuinità il carisma che il Padre aveva ricevuto
dallo Spirito, per essere esempio luminoso per le figlie.
Vi riesce ottimamente tanto che il Nascimbeni
stesso nutre per lei profonda stima, soprattutto per la sua docilità e
umiltà e la propone come modello da imitare.
L’Istituto trova immediatamente accoglienza a
livello ecclesiale tanto che in poco più di trent’anni le Piccole Suore
arrivano al migliaio.
Nel 1922 muore il Nascimbeni, per cui l’Istituto è
nelle mani della Madre che in tal modo diventa la testimonianza e la
memoria vivente del carisma originario.
Per dieci anni dal 1924 al 1934 Madre Maria è
ripetutamente eletta Superiora Generale e, come Madre, entra nella
pienezza della vita il 2 febbraio 1934.
Da quel momento inizia una continuata memoria in
benedizione.
Dai
proponimenti di Madre Maria
Io sento una fame ardentissima della divina
Parola. Desidero proprio saziarmi, imbevermi tutta e che tutte le
istruzioni e meditazioni mi vadano in sangue allo scopo di diventare
santa e presto santa.
Fra le tante virtù di cui intendo fare acquisto
in questi santi esercizi, due principalmente voglio che siano le prime,
cioè: una profonda massiccia, sincera umiltà e la mortificazione. Questo
è quello che ardentemente desidero. (1894) Positio pg. 291,
Sacrificherò volentieri il sonno e la quiete e
con l’aiuto della Sacra Famiglia guarderò di essere tutta a tutti.
(1895) Positio pg 293.
Vivrò come una bambina abbandonata nelle mani di
Dio, lasciando a lui solo la cura della mia santificazione e quella
dell’intero Istituto. (1910) Positio pg 296
Prometto con la grazia di Dio di essere
diligentissima nel fare le cose piccole e le farò col fervore massimo e
pieno di fede. (1914) Positio pg 249
Con l’aiuto della sacra Famiglia, prometto di
amare tanto Gesù, non a parole, ma coi fatti facendo per amore di Gesù
ogni cosa con grande diligenza. (1918) Positio pg 302.
Donna
del Quotidiano
Nulla di straordinario nella sua vita, se non
il miracolo della quotidianità santamente vissuta (commissione dei
Periti storici).
Il vero miracolo di Madre Maria Domenica Mantovani
(1862-1934), la cofondatrice delle Piccole Suore della Sacra Famiglia
proclamata Beata il 27 aprile, sta nell’aver ottenuto il massimo con il
minimo del clamore. A significare che la vera eccezionalità sta
nell’essere sempre profondamente normale. E che la normalità può
diventare un esempio, anche a distanza di tempo. Perché coerenza,
umiltà, generosità, obbedienza sono caratteristiche che richiedono
grande pazienza, e ai nostri giorni passano volentieri in secondo piano.
Oggi, infatti, determinazione e ambizione vanno spesso insieme e
mostrano solo la loro accezione negativa: accolte ed esibite come
sinonimo di arrivismo, scalata sociale e protagonismo, piegano al
calcolo sordo dell’amor proprio tanto le emozioni quanto i sentimenti.
Può sembrare ovvio, quindi, che quello che è stato
definito “il modello ideale di suora” susciti ammirati encomi da parte
di chi ne ha condiviso la scelta: per chi è chiamato alla vita
religiosa, l’esempio di Domenica Mantovani è un punto di riferimento
sicuro, un termine di paragone importante. Meno ovvio è, invece e
soprattutto di questi tempi, che di lei ancora si parli. E che a
parlarne con entusiasmo e partecipazione siano anche gli altri, quelli
che non facevano parte del suo entourage e quelli che non l’hanno
conosciuta. Perché, oggi come allora, «una buona e brava ragazza», come
la definì il cardinale Giacomo Lercaro, che si batte strenuamente in un
«succedersi di particolari modesti e spesso simili, quasi un ripetersi
di piccole cose» riesce a suscitare la curiosità della gente, anche
quella più lontana da Dio. Suona come una favola, come una parabola.
Ma favole e parabole, non bisogna dimenticarlo,
prendono spunto dalla realtà e, proprio per la loro natura
esemplificativa, alla realtà si rivolgono e si applicano. Solo che
spesso la realtà supera la fantasia, e l’immaginario a volte è meno
esemplare del reale. Ecco perché in tanti si sono “arresi” a colei che
per il mondo era solo la “Meneghina”: perché era irresistibile e a
portata di mano, le orecchie tese e il sorriso sulle labbra. Un bene
impagabile per una comunità civile afflitta dagli stenti e dalle guerre.
Un tesoro da coltivare nel profondo per chi, nella routine quotidiana,
non trova pace. Specie se la pace viene da una figura “sommersa”, la cui
bellezza interiore «è come il fulmine, turbina e non appare» per dirla
con Eugenio Montale. Una bellezza consapevole che va a toccare proprio
là dove il cuore nasconde le tribolazioni più profonde, anche quando
l’anima si ostina a non voler parlare.
La vera spiritualità, scrive Monsignor Gianfranco
Ravasi (Avvenire, 16 febbraio) «non è mai ostentata ma discreta e
umile. Anche ai nostri giorni». Parole nate per rendere omaggio a Dino
Buzzati nel trentennale della morte, ma che sembrano scritte per
esaltare l’esemplarità di Madre Mantovani. Che a forza di semplicità,
rispetto, dolcezza ha dato al mondo – la congregazione delle Piccole
Suore della Sacra Famiglia conta oggi 145 filiali tra l’Italia e
l’estero e 960 sorelle – la testimonianza più concreta e visibile della
propria fede. Una fede coltivata in sordina, tra la gente, senza
esibizionismo ma con costanza e creatività, fermezza ed energia. E –
sulla scia del Fondatore il Beato Giuseppe Nascimbeni - con un tocco
teneramente popolare, così efficace da convincere anche i più scettici.
Come quel suo dialogare rigorosamente in dialetto per meglio cogliere
l’essenza delle cose e porsi sullo stesso piano dell’interlocutore. Come
il sacchetto appeso alla statua di San Giuseppe, eletto l’economo delle
Piccole Suore, quando s’era in cerca di fondi per realizzare orfanotrofi
e nuove case filiali. O quei fogliettini bianchi con su scritto solo il
nome posati ai piedi della Vergine, per rafforzare la richiesta di una
grazia o di perdono alla Madonna. O la costruzione della Grotta di
Lourdes nella Casa Madre: un atto di venerazione, ma anche uno stimolo
alla riflessione, un invito esplicito alla preghiera, da condividere con
la comunità religiosa e parrocchiale, e da praticare «nella camera e
chiusa la porta», come cita il Vangelo di Matteo.
Colpisce, poi, che, per essere vissuta in un’epoca
che ormai si studia solo sulle pagine di storia, Madre Maria Mantovani
spicchi per esser stata una delle rarissime donne a riuscire a coniugare
gli impegni manageriali di un ruolo sempre più impegnativo come
Superiora di un Istituto in costante crescita con i doveri di madre nei
confronti delle sue tante “figlie”, sempre solerte nell’insegnamento,
nell’ascolto, nell’orientamento. Nel XXI secolo una simile impresa
sembra impossibile: riuscire a essere protagonista sui due fronti è un
lusso che cede il passo a molti compromessi. A Madre Mantovani costò
sicuramente molti sacrifici, cosa che pochi sono disposti ad accettare.
Ma una vita in salita può arrivare molto in alto, addirittura in
Paradiso. Il lieto fine esiste, soprattutto nella realtà.
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