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Luca è l’evangelista
della preghiera. Non solo ne offre numerosi insegnamenti e
raccomandazioni, ma ne mostra anche il posto che occupa nella vita di
Gesù e degli altri personaggi del suo Vangelo e degli Atti. Non a caso,
proprio nel terzo vangelo, troviamo in apertura e in chiusura delle
persone in preghiera nel tempio di Gerusalemme. Nei primi versetti
incontriamo il sacerdote Zaccaria che sta celebrando l’offerta
dell’incenso, mentre il popolo prega fuori (Lc 1,8-10). Nei versetti
finali dell’ultimo capitolo, l’evangelista presenta i discepoli di Gesù
anch’essi nel tempio di Gerusalemme in preghiera (Lc 24, 52-53). Il tema
della preghiera attraversa e fa da inclusione all’opera lucana.
Luca oltre a
presentarci uomini e donne che pregano, offre pure esempi di preghiere.
Tra queste spiccano gli inni che costellano il suo vangelo: il
Benedictus,
il Magnificat,
il Nunc
dimittis.
Preghiere esemplari, tanto che la Chiesa chiede di ritmare con esse le
ore della giornata e tutti i giorni della nostra vita, e le propone,
rispettivamente, per la preghiera delle Lodi mattutine, per la liturgia
dei Vespri a sera, per la preghiera di Compieta prima di andare a
dormire.
Tra gli esempi di
preghiere, primo fra tutti è il cantico di Maria. Con ragione si ritiene
il Magnificat
un dono: di
Dio alla Vergine; di questa alla Chiesa, a ciascuno di noi. Posto sulle
labbra di Maria di Nazaret, il Signore lo mette ogni giorno sulle nostre
labbra. Con Paolo VI possiamo dire che è «la preghiera per eccellenza di
Maria, il canto dei tempi messianici nel quale confluiscono l’esultanza
dell’antico e del nuovo Israele… In esso confluì il tripudio di Abramo
che presentiva il Messia (cf Gv 8,56) e risuonò, profeticamente
anticipata, la voce della Chiesa… Il cantico della Vergine, dilatandosi,
è divenuto preghiera di tutta la Chiesa in tutti i tempi» (Marialis
cultus 18).
IL CONTESTO DEL
MAGNIFICAT
Il vangelo
dell’infanzia secondo Luca (cc. 1-2) è il contesto immediato del
cantico. Esso è intercalato tra due annunci: a Zaccaria (Lc 1,5-22) e a
Maria (Lc 1,26-38), e due racconti di nascita: di Giovanni Battista
(1,57) e di Gesù (2,1-7). Fra questi due annunci e due nascite sta, come
intermezzo, il canto del
Magnificat
situato all’interno
dell’episodio della visita della Vergine ad Elisabetta (Lc 1,39-45). Le
due madri «impossibili» - una sterile, l’altra vergine - s’incontrano ed
è un incontrarsi anche dei due figli che portano nel grembo. Giovanni
riconosce il Signore e sussulta nel grembo della madre che, sotto la
potenza dello Spirito, comprende il senso di quel sussulto e riconosce
il mistero che Maria porta in seno. E allora, la proclama benedetta e
beata, e madre del Signore:
«Benedetta tu fra le
donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del
mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei
orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei
che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto»
(Lc 1,42-45).
A questo punto, in
risposta alla benedizione-beatitudine di Elisabetta e al suo atto di
fede, e davanti al mistero del Figlio che porta in grembo, riconosciuto
come Signore, Maria prorompe nel canto di lode del
Magnificat
(Lc 1,46-55).
Secondo gli esegeti la
presenza del
Magnificat a
quel punto del testo lucano non è essenziale nel piano della narrazione,
che appare già completa in se stessa (il v. 56 poteva, in origine,
seguire immediatamente il v. 45), ma rappresenta una sorta di
sospensione del movimento globale della narrazione per far emergere il
significato dell’evento che è stato appena raccontato, cioè
l’avvenimento dell’annunciazione (Lc 1,26-38), e con linguaggio più
teologico, il mistero dell’incarnazione.
Il fatto che il
Magnificat
interrompa la
continuità naturale del racconto non significa che sia senza importanza
per la comprensione profonda degli eventi che sono riferiti. Una serie
di legami lo uniscono al suo contesto. Al v. 47 le parole: «il mio
spirito esulta» ricorda ciò che diceva il v. 44 sull’esultanza del
bambino nel seno di Elisabetta. La maniera con la quale Maria parla di
se stessa al v. 48, come dell’umile «serva» di Dio, fa eco alla sua
risposta all’angelo al v. 38: «Ecco la serva del Signore». Aggiungendo
«tutte le generazioni mi chiameranno beata» (v. 48b), ripete la
beatitudine di Elisabetta: «Beata colei che ha creduto» (v 45).
Affermando «il Potente ha fatto per me grandi cose » (v. 49a), ella
ricorda le parole dell’angelo: «Niente è impossibile a Dio» (v. 37). Il
Magnificat
dunque va
letto e compreso in funzione del contesto dal quale attinge molti tratti
significativi e in particolare in funzione del racconto
dell’annunciazione di cui intende manifestare il senso profondo.
Dopo l’annuncio
dell’angelo, a Maria viene affidato un grande segreto che la coinvolge
profondamente e che non può spiegare a nessuno. In questa solitudine,
racconta Luca, si unisce ad una carovana e s’incammina verso la Giudea
per raggiungere la casa di Elisabetta. Ormai il registro della sua vita,
la forza motrice di ogni sua azione è la «potenza dell'Altissimo» che
l'avvolge.
Il suo cammino è un
andare restando nel Signore, un partire dimorando in lui, un viaggiare
portandolo con sé. In Maria è la vita interiore che muove, dirige e dà
senso all'azione esteriore; è il silenzio che matura la parola. Alla
scuola della Vergine ognuno di noi è chiamato ad imparare il segreto
della sintesi vitale tra interiorità e attività, tra essere e fare, tra
credere e operare, tra memoria e creatività, tra «conservare tutto nel
cuore» e «camminare in fretta», tra l'accogliere il dono di Dio e il
farsi dono di Dio per i fratelli.
IL TESTO
Il
Magnificat
è un testo antologico,
le cui tessere bibliche si compongono in un mosaico unitario. Vi si
riconosce il ricordo del cantico di Anna alla nascita di Samuele (1Sam
2,1-10), della gioia di Lia alla nascita dei suoi figli (Gen 29,32;
30,13), ma anche il linguaggio dell’esperienza dell’Esodo e i motivi del
celebre canto del mare (Es 15,1-18). Maria si esprime come erede di una
tradizione religiosa. Quale figlia del popolo eletto si nutre in
continuità della parola di Dio, ed è naturale quindi che alle sue labbra
affiori sempre ciò che sovrabbonda nel suo cuore.
Per quanto i termini e
i motivi del cantico rimandino all’Antico Testamento,lo spirito del
cantico è neotestamentario: con la venuta di Cristo si sono inaugurati i
tempi nuovi. Ne consegue che la voce di Maria, pur riprendendogli
accenti dell’antico Israele, anticipa e inaugura il canto della Chiesa
di Cristo, che celebra con gioia una salvezza che ha trasformato in
radice la storia del mondo.
Il testo del
Magnificat
si presenta come
composizione unitaria dominata dalla tonalità di lode e di rendimento di
grazie. La struttura è quella classica degli inni biblici: l’esordio,
vv. 46-47, formato da due proposizioni parallele, esprime bene i
sentimenti presenti nell’animo di Maria; la
prima strofa,
vv. 48-50, esalta i frutti della fede e dell’umile fiducia nella
misericordia di Dio;
la
seconda strofa,
vv. 51-53, enumera le azioni salvifiche operate da Dio nella storia
della salvezza; la
conclusione,
vv. 54-55, dilata il testo, facendone così il cantico d’Israele e il
cantico della Chiesa.
L’esordio, vv.
46-47
46
«L’anima mia magnifica il Signore
47 e il
mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
Questi due versetti contengono le
uniche azioni delle quali è soggetto Maria. Ella parla in prima persona:
l’anima mia…
il mio
spirito…
mio
salvatore…
mi
diranno beata… ha fatto
in me
l’Onnipotente… Il
Magnificat
si apre con un’esplosione di gioia
dell’anima; proprio come avveniva nel Salterio: «Celebrate con me il
Signore, esaltiamo insieme il suo nome… Io gioirò nel Signore, esulterò
in Dio mio Salvatore… Ti glorificherò, Signore mio re, ti loderò Dio mio
Salvatore, glorificherò il tuo nome» (Sal 34,4; Ab 3,18; Sir 51,1).
Fiorisce così la felicità della fede, lo stupore della contemplazione,
la pace della donazione. La persona intera si trasforma in lode,
divenendo «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il culto
spirituale» (Rm 12,1).
Maria «magnifica»,
«rende grande» o meglio, «proclama la grandezza di Dio», proclama i doni
speciali a lei concessi; quindi «esulta», «gioisce», «si rallegra in
Dio» con una gioia piena ed esuberante che coinvolge tutta la sua
persona; una gioia che trova in Dio la sua sorgente e il fondamento. I
verbi «magnificare», «esultare», definiscono Maria completamente in
relazione a Dio, a quel Dio di cui ha conosciuto l’operato nella propria
esistenza. Maria non è autoreferenziale, è donna de-centrata da sé e
rivolta al Signore di cui celebra l’azione: Dio è il motivo della sua
gioia, Dio ella esalta. Nel
Commento al Magnificat
di Lutero
leggiamo: «Maria non dice: “L’anima mia magnifica se stessa”…; essa
magnifica esclusivamente Dio, a cui tutto attribuisce. Si spoglia di
tutto e tutto offre a Dio, dal quale l’ha ricevuto ».
Nell’inizio del suo
canto, dunque, Maria esprime il programma della sua vita totalmente
donata a Dio: «Non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio…
non rendere grande se stessa, ma riconoscere grande solo Dio. Ella è
umile: non vuole essere nient’altro che l’ancella del Signore (cf Lc
1,38.48): Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo
una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative
di Dio» (Benedetto XVI,
Deus caritas est
41).
Non a caso l’esultanza
di Maria è spiegata dall’esperienza che lei fa di Dio come suo
Salvatore. Quel «mio Salvatore» (eco di Ab 3,18) sottolinea come la
salvezza non sia un’idea astratta, ma una relazione personale con Dio.
Fin da questi primi versetti Maria appare la prima salvata: non è lei la
salvatrice, ma colei che rinvia all’unico Salvatore, narrato, cantato,
confessato con amore. Inoltre, non può sfuggire in questo inizio del
cantico l’abbondanza dei titoli divini: «Signore» (v. 46), «Salvatore»
(v. 47), «Onnipotente » e «Santo» (v. 49 e 49b). Questi appellativi si
riferiscono evidentemente a Dio, ma è significativo che l’evangelista li
riferisca spesso a Gesù:
Signore
(Lc 1,43; 2,11; 5,8.12;
At 1,21; …);
Salvatore (Lc
2,11; At 13,23; …);
Santo
(Lc 1,35; At 3,14;
4,27.30). L’esperienza della salvezza di Dio fatta da Maria potrà essere
conosciuta per fede dai cristiani nel Figlio Gesù Cristo.
La fede fa sorgere il
rendimento di grazie e la lode. L’umile serva del Signore che con il suo
fiat
si era resa
disponibile per il misterioso e sconcertante progetto di Dio, continua
ora il suo cammino di obbedienza celebrando la grandezza del Dio
d’Israele e del suo piano di salvezza.
La prima strofa,
vv. 48-50
48perché
ha guardato l`umiltà della sua serva.
`ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi
cose ha fatto in me l`Onnipotente
e Santo è il suo nome:
50 di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Dopo l’esordio, Luca
presenta subito la motivazione della lode di Maria: essa risiede
anzitutto nel fatto che Dio si è mostrato
salvatore
nei suoi confronti
«guardando alla sua piccolezza». La distanza fra il Signore e la serva,
fra il Potente e la povera, fra l’Altissimo e colei che è contrassegnata
dalla
tapeinosis,
dalla piccolezza, è colmata dallo sguardo che dall’alto si posa
su Maria. Dio in tal
modo dà risposta anche all’attesa di tutti coloro che confidano in lui e
lo temono. La storia dei suoi atti salvifici comincia con il fatto che
egli vede
la miseria
degli oppressi,
vede
la povertà,
l’umiliazione, l’oppressione del suo popolo. Un popolo schiacciato,
senza alcun titolo per pretendere un intervento divino. L’espressione
Dio vede
significa
che egli interviene nella storia, negli avvenimenti, esprime già la sua
azione salvifica, dice che egli sta operando a favore di qualcuno,
perché il suo guardare porta sempre salvezza.
Lo sguardo ha la
capacità di esprimere tutta l’ampia gamma delle relazioni e dei
sentimenti. Nel caso di Maria lo sguardo di Dio è sinonimo del suo
essere compassionevole. Per Dio la compassione non è un vago sentimento
di pietà, ma sempre assunzione di responsabilità nei confronti di chi si
trova nel bisogno e si tramuta in concreta sollecitudine, gesti, azioni
che tendono a ridare pienezza di vita, in una parola, «salvezza».
Dio dunque ha rivolto
il suo sguardo su Maria (v 48a) ed ha agito, è concretamente
intervenuto. Il v. 49 aggiunge come motivo della lode di Maria il fatto
che Dio «ha compiuto per lei cose grandi». Il richiamo qui è ai prodigi
attuati dal Signore nella storia a favore del suo popolo, ma soprattutto
al tempo dell’esodo e della liberazione dall’Egitto (Dt 10,21; 11,7; Sal
106,21; …). Il richiamo all’esodo è ben evocato anche nel v. 51: «Ha
fatto cose potenti con il suo braccio». È significativo che Maria
collochi l’intervento di Dio nella sua vita, lungo la scia del grande
evento dell’esodo. Quale figlia d’Israele, trova nella confessione di
fede e nella preghiera del suo popolo parole e immagini per descrivere
l’azione che Dio ha compiuto in lei. Ciò che è avvenuto – la concezione
del Messia – è evento di salvezza e di liberazione.
Il fatto che tali
prodigi non riguardino solo la persona di Maria, ma abbiano destinazione
più ampia, è sottolineato dall’apertura verso il futuro contenuta nel v.
48b: «D`ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata». L’evento
compiuto da Dio in Maria si ripercuote nei secoli attraverso il
riconoscere e proclamare la beatitudine di Maria. Dichiararla beata non
significa sovraesaltarla, ma vederla con gli occhi di Dio, individuare
in lei la donna povera, umile e obbediente che ha consentito il
dispiegarsi storico del disegno divino di salvezza. Ora il compito è
affidato a noi e a tutte le generazioni presenti e future. Anche quando,
con il Rosario in mano, nella solitudine o in una grande assemblea,
pregando diciamo: «Benedetta tu fra le donne…», noi siamo il popolo
della profezia.
Dopo aver riconosciuto
l’intervento di Dio, Maria ne proclama la santità: «Santo è il suo
nome», e la misericordia: «di generazione in generazione la sua
misericordia si stende su quelli che lo temono» (vv. 49-50). La santità
distingue certamente Dio dall’uomo: «Io sono Dio, non uomo, io sono il
Santo in mezzo a te», dice Osea 11,9. Dio è il “separato”, ma tale
distinzione è finalizzata all’incontro, all’alleanza, alla comunione. Il
riconoscimento della santità di Dio si accompagna alla confessione della
sua misericordia eterna, che abbraccia chi lo teme per la distesa delle
generazioni. Inoltre il v. 50 annovera di fatto Maria tra coloro che
«temono» Dio, cioè che lo amano e gli obbediscono riconoscendone la
santità, la distanza, l’alterità.
La seconda strofa,
vv. 51-53
51Ha
spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52ha
rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53ha
ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
In questa seconda
strofa Maria prosegue il suo canto elencando le gesta salvifiche di Dio,
la cui azione raggiunge potenti oppressori e piccoli depauperati,
capovolgendone radicalmente le sorti. La lode e la gioia proclamate nei
primi versetti riguardano non soltanto lei e quanto il Signore ha
operato per lei, ma anche i piccoli e gli affamati sottratti al dominio
di ricchi e potenti oppressori (vv. 52-53).
Ora la storia personale
di Maria s’inserisce nella storia della promessa fatta ad Abramo. Ciò
che è avvenuto in lei è conforme a come Dio «aveva parlato ai nostri
padri, ad Abramo e alla sua discendenza in eterno» (Lc 1,55). In questa
storia il concepimento del Messia rappresenta il compimento della
promessa, alla cui luce si scorge la continuità e la novità dell'azione
di Dio. Infatti, I'agire di Dio è stato sempre così: riprendendo
espressioni dell’Antico Testamento Maria afferma che Dio ha disperso i
superbi (cf 2Sam 22,28; Sal 89,11), ha rovesciato i potenti dai troni (cf
Gb 12,19; Sir 10,14), ha innalzato gli umili (cf Gb 5,11; Sal 147,6; Ez
21,31), ha colmato di beni gli affamati (cf 1Sam 2,5; Sal 107,9), ha
rimandato i ricchi a mani vuote (cf Sal 34,11). Il Dio del
Magnificat
è il Dio che muta le
sorti, accordando la sua predilezione agli umili e piccoli, ai poveri e
indifesi.
Nel
Magnificat
potenti e umili,
affamati e ricchi, orgogliosi e fedeli si confrontano, ma Dio ha fatto
la sua scelta. Egli è, come in tutta la Bibbia, schierato coi poveri,
«coi malati, coi tormentati da vari dolori e infermità; con gli
indemoniati, gli epilettici e i paralitici» (cf Mt 4,24) e a loro
rivolge il suo appello: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e
oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Questo agire divino «d'ora in
poi» (Lc 1,48) sarà mostrato nella vita,
nelle parole e nelle
azioni di colui che nascerà dal grembo di Maria.
Gesù, infatti, come
rivelerà Simeone nel tempio di Gerusalemme, «è posto a rovina e
risurrezione di molti in Israele e a segno di contraddizione affinché
siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35). In questi
versetti è implicito tutto il successivo svolgimento del vangelo che
possiamo condensare nella logica delle beatitudini, logica espressa da
Luca in netto contrasto fra beatitudini proclamate a poveri, affamati,
afflitti, e guai annunciati a ricchi, sazi, gaudenti (cf Lc 6,20-26).
Questo giudizio attuato
da Dio mostra che l'accoglienza della salvezza passa attraverso una
crisi: è essenziale la conversione del cuore e della vita, in tutte le
dimensioni relazionali che la contraddistinguono, in particolare quella
sociale, economica e politica, come appare dal nostro testo che parla di
potenti e ricchi, per conoscere la beatitudine annunciata da Cristo. La
pagina lucana della «conversione» di Zaccheo (Lc 19,1-10) mostra che
l'accoglienza della salvezza è ormai direttamente accoglienza di Cristo
stesso, e che questo comporta un concreto movimento di spogliazione, di
impoverimento, di abbassamento, in una parola, implica la
metanoia
(cf Lc 5,32).
Il cantico raggiunge
ancora una volta la situazione del lettore che si sente coinvolto
dall'invito alla conversione e riconosce che l'azione di Dio elegge un
resto
anche all'interno
del suo popolo. Maria, nella sua piccolezza-povertà, è l'erede del
«popolo povero e umile» di cui Sofonia parla come del resto santo
all'interno della stessa comunità dell'alleanza (Sof 3,12).
Nell'obbedienza al Cristo, che sta in mezzo ai suoi come «colui che
serve » e sull'esempio di Maria «la serva del Signore» (Lc 1,38), anche
la Chiesa, la comunità eucaristica, deve darsi una fisionomia di serva e
povera per vivere la propria presenza tra la gente come diaconia e
testimonianza evangelica del Signore, che abbatte superbi e potenti, e
innalza umili e poveri.
Ancora una volta le
parole del
Magnificat
arrivano ad interpellare e ad inquietare la coscienza del credente di
oggi.
Conclusione: vv.
1,54-55
54Ha
soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55come
aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».
Nella conclusione il
cantico di Maria riprende espressioni veterotestamentarie (per il v. 54:
Is 41,8-9; Sal 98,3; per il v. 55: Gen 12,3; 22,17; Mi 7,20), evocando
l'aiuto concesso da Dio a Israele, «servo del Signore» (cf Is 49,3) fino
a risalire alla promessa fatta ad Abramo. In questo modo il
Magnificat
è il canto della
memoria e della fedeltà di Dio: Dio non manda a vuoto le sue promesse.
Non a caso il v. 54 parla di Dio che si ricorda della sua misericordia,
richiamando l'evento dell'annuncio a Maria della nascita del Messia. Da
Abramo al Messia attraverso Israele e, infine, a Maria è l'«itinerario»
che il
Magnificat
fa percorrere per celebrare quella fedeltà di Dio che copre tutta la
storia, anche il futuro. Il lettore-ascoltatore del
Magnificat,
colui che lo prega, è portato a questo punto a rinnovare a sua volta la
confessione di fede nella fedeltà di Dio, una fedeltà da saper
discernere anche nella propria vita, negli eventi quotidiani nei quali
Dio si fa presente.
Il
Magnificat,
dunque, non è una preghiera chiusa, chiede di essere proseguita e
personalizzata da ciascuno nella propria esistenza. Non rimanda al
passato, ma proietta nel futuro; non si sofferma sull'uomo, ma contempla
Dio e la sua fedeltà: che è «per sempre» (v. 55b). In questo futuro si
colloca chiunque legga e preghi il
Magnificat
nel corso della storia.
Anch'egli chiamato a riconoscere alla sera di ogni giornata ciò che il
Signore ha fatto per lui, a confessarlo e a rendergli grazie; che la
promessa di Dio non è venuta meno in quel giorno, ma si è realizzata;
che la fedeltà del Signore anche in quel giorno si è compiuta con
prodigi e miracoli d'amore
da
saper vedere e riconoscere: aver conservato la fede, essere rimasti
fedeli alla vocazione ricevuta...
CANTARE LA
MISERICORDIA DI DIO
Maria proclama che
l’agire di Dio, imprevedibile e sorprendente, illimitato e salvifico, è
«diverso» da quello umano (cf Os 11,9). Gli uomini agiscono per
interesse, per capriccio o per consuetudine. Dio agisce solo per amore.
La Vergine scorge nella Scrittura, che è il più grande e più suggestivo
poema dell'amore di Dio, le profondità del cuore dell'Altissimo.
La parola greca
«misericordia» (eleos),
che ancor oggi usiamo a volte nella liturgia per domandare a Dio di
essere pietoso con noi (cf
Kyrie eleison),
racchiude una ricca terminologia ebraica. In particolare in essa sono
presenti due termini dell'esperienza spirituale raccontata nell'Antico
Testamento. Anzitutto «misericordia» traduce il termine
hesed,
che ordinariamente viene reso con «bontà», «benevolenza», «fedeltà»,
Complessivamente possiamo dire «grazia» in senso forte. Inoltre
«misericordia» traduce anche il termine
rachamîm,
che viene espresso con «viscere materne», che «si commuovono per il loro
frutto» e impediscono alla madre di dimenticare il figlio. In un testo
celebre di Isaia la bontà di Dio è paragonata a quella della madre e
infinitamente di più: «Si dimentica forse una madre del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio del suo grembo? Anche se vi fosse
una donna che si dimenticasse del suo bambino, io mai mi dimenticherò di
te» (Is 49,15-16).
I due vocaboli ebraici
(hesed
e
rachamîm)
indicano con sfumature diverse un preciso concetto di amore-tenerezza,
fatto di puro dono, di pura gratuità, di amore che accoglie, comprende,
perdona. Esso rimanda sia alla straordinaria benevolenza di Dio, cioè
alla grazia dell'alleanza, sia alla tenerezza paterna-materna di Dio,
che prevale sul peccato e sull'infedeltà del popolo fino a cancellarne
il ricordo. Dice Isaia: «Anche se i vostri peccati fossero come
scarlatto diventeranno bianchi come neve, se fossero rossi come porpora,
diventeranno come lana» (Is 1,18).
Il v. 50 del
Magnificat
si collega in modo
evidente a vari passi dell'Antico Testamento, in particolare al Salmo
103. Questo salmo innico, considerato uno dei più belli del Salterio,
non solo proclama l'amore misericordioso di Dio, ma addirittura anticipa
la grande definizione neotestamentaria: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16).
Si può dire che anche
il Salmo 103 è una sorta di
Magnificat,
interamente incluso nell'espressione: «Benedici il Signore, anima mia» (vv.
1 e 22). Esso riprende tre versetti del cantico: «grande è il suo amore
per chi gli è fedele» (v. 11), «il Signore è tenero con i suoi fedeli»
(v. 13), «la sua grazia si estende di padre in figlio per chi non
dimentica il suo patto» (v. 17). Nel cuore del Salmo 103 si trova l'autodefinizione
di Dio offerta dall'esodo, quando JHWH proclama il proprio nome davanti
a Mosè: «Il Signore è bontà e misericordia; è paziente, costante
nell'amore» (Es 34,6 e Sal 103,8).
Attorno a questa
citazione il salmista sviluppa il tema della grazia dell'alleanza e
quello della tenerezza materna di JHWH. Ambedue, grazia e tenerezza, «si
estendono su coloro che temono Dio» (vv. 11 e 13). La
grazia
si estende nello
spazio, grande e ampio come il manto protettivo del cielo sulla terra; e
si estende anche per tutto l'arco del tempo: «di generazione in
generazione », «verso i figli dei figli» (v. 17). La
tenerezza
si estende invece nel
senso dell'intensità, della profondità, della "totalità" dell'uomo.
Infatti Dio Padre «sa di che siamo plasmati» e «ricorda che noi siamo
polvere» (v. 14).
Il fatto che Dio abbia
deciso di colmare ogni distanza tra sé e l'uomo con l'infinita sua bontà
e tenerezza, suscita nel salmista uno sguardo contemplativo, umile e
pensoso, sulla fragilità della creatura umana: la colpa, la malattia, la
morte invocano perdono, guarigione, «redenzione dalla fossa» (vv. 3-4 e
9-10).
L’OGGI DELLA
MISERICORDIA
Da questa rapida
rassegna di testi dell'Antico Testamento si vede in ogni caso come le
parole di Maria («la sua misericordia di generazione in generazione su
coloro che lo temono») ne riassumano tutta la ricchezza. Maria non
guarda più a sé, nota lo svolgersi della misericordia di Dio lungo tutta
la storia, di generazione in generazione, e vede questa misericordia di
Dio legata alla fedeltà di Dio alle sue promesse: «si è ricordato della
promessa fatta ai Padri» (v. 55).
Non solo. Le parole di
Maria proclamano l'oggi di questa misericordia, del perdono di Dio in
favore dell'umanità, l'oggi e il «per sempre» di questa misericordia «di
generazione in generazione». Non si tratta soltanto di un'esperienza del
momento: quella misericordia che si è rivelata in Maria e, per mezzo di
Maria, nel mondo, è ormai la misericordia che si estende lungo tutta la
storia, di generazione in generazione, per ogni uomo e ogni donna. Ciò
che si è compiuto in Maria con l'incarnazione dell'Unigenito è la
rivelazione che la misericordia di Dio si è ormai realizzata in tutta la
sua pienezza di perdono e di grazia. Dio è stato fedele alle sue
promesse. I tempi della misericordia di Dio sono ormai un oggi. È quanto
continua a esprimere Maria stessa nel
Magnificat
con il v. 54: «Ha
soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia».
Secondo la predicazione
dei profeti, i tempi messianici sarebbero stati i tempi della
manifestazione della misericordia di Dio verso Israele, e attraverso
Israele, verso tutta l'umanità: «Tutti i popoli vedranno la misericordia
di Dio» (cf Is 52,10). Maria proclama che questi tempi annunciati dai
profeti si sono ormai realizzati: Dio si è ricordato della sua
misericordia, «come aveva promesso ai Padri, ad Abramo e alla sua
discendenza per sempre» (v. 54).
Il cantico del
Magnificat,
il commento più bello alla misericordia di Dio, non può lasciare
indifferenti. Ognuno di noi e la Chiesa tutta è chiamata a sviluppare al
massimo grado una pastorale della misericordia e della compassione. La
fede nel Dio, Creatore e Padre, Salvatore e Santificatore, provoca alla
misericordia, alla bontà nei riguardi dei nostri fratelli.
Ogni credente, memore
che il Padre nel Figlio suo ci ha sollevato dalle nostre colpe e dai
nostri dolori, si sente debitore di misericordia verso tutti. Cantare il
Magnificat
con Maria,
immagine vivente della misericordia di Dio, «madre di misericordia» e
«consolatrice degli afflitti», vuol dire fare quanto raccomanda Paolo ai
Colossesi: «Rivestitevi, dunque, come amati da Dio, santi e diletti, di
sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di
pazienza; sopportandovi a vicenda, e perdonandovi scambievolmente, se
qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il
Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Col 3,12-13).
Allora saremo persone
che, avendo ricevuto misericordia, trasmettono misericordia, in sintonia
con Dio «ricco e grande nell'amore», con Maria dal cuore materno, pieno
di tenerezza. Perché gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente
dobbiamo ridare.
Segnalazioni
AA.VV.,
Il canto della Figlia
di Sion (Lc
1,46-55). Numero monografico di
Theotokos
5 (1997), n. 2,
391-706.
G. GROSSO,
Con Maria Figlia di
Sion. In ascolto della Parola,
Messaggero, Padova 2002.
P. BIGNARDI - F.
LAMBIASI,
Eccomi, Signore. Esercizi di vita cristiana sulle orme di Maria,
Ave, Roma 2004.
S. PANIMOLLE - A. SERRA
- A. VALENTINI - T. VETRALI,
Maria di Nazaret nella
Bibbia,
Borla, Roma 2005.
A. SERRA,
La Donna dell’Alleanza.
Prefigurazioni di Maria nell’Antico Testamento,
Messaggero, Padova 2006.
A. VALENTINI,
Maria secondo le
Scritture,
Dehoniane, Bologna 2007.
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