n. 1
gennaio 2002

 

Altri articoli disponibili

C'è un tempo per...
di Maria Pia Bonanate

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

“Per ogni cosa c'è il suo momento,
il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo” (Qo 3,1ss).

C'è un tempo per nascere e un tempo per morire

Riscoprire la pazienza dell'istante. La disponibilità a vivere ogni momento della vita, gioia o dolore, felicità o lutto, come se fosse la totalità della nostra esistenza. Questa calma interiore, questo accettare l'istante come già fosse eternità, ci immette direttamente nel cuore di Dio. Ci riporta a quell'infanzia che garantisce la nostra permanenza nell'Essere che ci ha creati, nell'essenza stessa dell'esistere. Interrompe il ritmo ossessivo di giornate a perdere, a consumarsi nella corsa affannosa che brucia l'istante, lo svuota nella sua dimensione di microcosmo che contiene le impronte e i segni della vita e del destino umano. Il ricupero esistenziale dell'istante ricolloca nella loro successione naturale il nascere e il morire, riconsegna al principio e alla fine dell'esistere la pienezza della loro complementarietà nell'armonia e nell'equilibrio dell'universo.

Un tempo allora per nascere. La nascita non come atto definitivo e limitato alla sua cronologia temporale, ma come realtà che si rinnova di continuo in ogni istante e giorno della vita. Come disponibilità a rimettersi di continuo nella condizione di innocenza, di stupore, di apertura verso gli altri, di totale disponibilità e attesa. Rinascere di continuo alla vita significa guardare se stessi e l'altro con occhi senza veli, con mente sgombra da pregiudizi, con cuore puro da interessi personali, in tutto e per tutto come bambini alle soglie dell'esistenza. Vuol dire ricuperare l'entusiasmo della novità e della scoperta propri dell'infanzia, aprirci verso quanto abbiamo in noi e fuori di noi, per partecipare al mistero della creazione non solo come spettatori, ma anche come attori.

Creare con Dio, sentirsi chiamati a vivere e a dare la vita, senza schemi e rigidità  che impediscano il libero movimento dell'amore, con il coraggio del rischio e il fervore di ogni inizio. Già, l'amore. Dio è innanzi tutto Amore, soprattutto Amore, è soltanto Amore. L'amore è il supporto indispensabile per ogni nascita che si rinnova di continuo. E' il contenitore dell'eroismo feriale della nostra vocazione di uomini e di donne. Il tempo della nascita chiede di amare totalmente, senza riserve, gratuitamente con quella fiducia e abbandono che permette all'intelligenza del cuore e della mente di inventare la vita, di inventarsi individualmente e come comunità, di coltivare la speranza e la fiducia, nonostante le delusioni e i pesanti limiti che sempre ci accompagnano.

Ma il tempo dedicato al nascere ha come compimento quello dedicato al morire, indispensabile per il rinascere successivo. La morte allora non come momento definitivo, ma transito per ricuperare la possibilità di un'integrità che le dinamiche e i meccanismi del crescere e dello svilupparsi finiscono con l'intaccare. Sì, c'è un tempo, ogni giorno, per morire. Per avvolgerci come in un sudario nel silenzio, nel raccoglimento, nella prova generale di quello che sarà l'addio finale. Per rientrare in quell'intimità del nostro essere più vero e autentico, per ricuperare valori e significati dimenticati. Morire come momento di bilanci, di valutazioni, di confronti, di chiarezze. Ma anche come spoliazione delle nostre superbie e false certezze, come antidoto alla tentazione di crederci assoluti e invulnerabili, di identificarci con il possedere e l'avere, le mete raggiunte, le gratificazioni e i successi ottenuti, con i privilegi rastrellati.

Cristo rimase per tre giorni avvolto nel silenzio del sepolcro, nascosto agli occhi di tutti, per testimoniare l'importanza del tempo della morte. Non c'è vita senza morte, non c'è resurrezione senza l'interruzione del fare e del divenire, per ricomporsi nella immobilità di ogni fine. Una immobilità che permette di vedere, di ascoltare, di capire con occhi, orecchi, mente sempre nuovi. In attesa della visione e della conoscenza di Dio. Come il nascere in ogni momento ci permette di ricuperare le potenzialità e l'integrità di ogni inizio, così il morire in ogni istante ci offre la possibilità di anticipare nei limiti della nostra dimensione umana, i passi dell'eternità. Praticare il tempo del morire significa  prepararsi a quello del nascere e del risorgere. Stabilire dei contatti con quell'invisibile che l'individuo contemporaneo ha emarginato e che solo il silenzio della fine, accolto dentro di noi, permette di ricuperare nella sua intrinseca e dinamica capacità di far rinascere. Il tempo del morire diventa allora una pratica quotidiana di immersione nel mistero dell'al di là, di ascolto di quelle presenze in Dio che ci hanno preceduti, di profondi contatti interiori che ci permettono di camminare già nell'eternità immersi nell'Assoluto.

Mariapia Bonanate

Torna indietro