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I
“segni” sono di differente genere, natura, tipologia, valore.
Possono essere verbali o gestuali, ossia veicolare un messaggio tramite
la parola oppure l’azione. Appartenendo al linguaggio simbolico, il
segno svela il proprio significato a chi ha occhi e orecchi capaci di
carpirlo. I simboli, infatti, dicono senza esaurire tutto il dicibile,
mostrano senza dimostrare ogni dettaglio: alludono, evocano, fanno
intuire, svelano e insieme nascondono una realtà che è altra rispetto
a quanto è materialmente percepibile dai sensi. Il dire e l’agire
simbolico interpellano dunque l’emotività, la fantasia, la corporeità
delle cose. Parlano a tutta la persona e non soltanto alla sua
intelligenza. Chiamano in causa l’esperienza.
Le relazioni
umane nascono, si alimentano e si stabilizzano mediante dei segni
esteriori, espressivi del mondo interiore. Avviene così anche nella
relazione tra Dio e l’uomo. Come la chiamata divina ha bisogno di
segnali e mediazioni per rendersi udibile e visibile, così anche la
risposta umana si avvale del simbolismo per esprimersi ed esternarsi.
L’universo liturgico-rituale, del resto, è colmo di agire simbolico!
Gesti, parole, azioni, movimenti, elementi naturali, manifatture, spazio
e tempo, luoghi e cose… sono espressivi del movimento discendente e
ascendente, rinviano visibilmente a realtà invisibili.
Non
è dunque difficile accostarsi alla vita consacrata lasciandosi condurre
dal linguaggio simbolico. E’ la strada che si vuole proporre
attraverso la lettura di simboli e segni che permettono di cogliere
l’una o l’altra sfumatura che concorre a disegnare il mondo di
quanti sono chiamati a testimoniare con la vita ciò che non sempre è
direttamente spiegabile con parole e ragionamenti.
«Come sigillo sul
tuo cuore» (Ct 8,6)
Oggi
si usano i timbri per
autenticare i documenti, le firme
per qualificare gli indumenti, i marchi
per assicurare una scarpa di vero cuoio: è un modo semplice ma
immediato per dare il riferimento di una cosa o indicarne l'identità.
Gli
antichi esprimevano lo stesso intendimento attraverso l'uso diffuso del
sigillo: intagliato in pietre dure o ricavato da metalli preziosi,
veniva premuto su materie plasmabili come la ceralacca, l'argilla, il
piombo, lasciandovi così la sua impronta unica e originale. Si parla di
sigillo a caldo se la materia che si vuole marcare necessita di essere
riscaldata; di sigillo a secco se invece trattasi di materia
direttamente imprimibile. Il risultato del sigillo è la riproduzione
perfetta in un altro elemento dell'incisione originale.
Uso molteplice del
sigillo
Notissimo
in tutte le civiltà, il sigillo si trova impiegato nei campi più
disparati e nelle occasioni più diverse, sempre tuttavia allo scopo di
manifestare una relazione, un legame, una volontà precisa. Il senso del
sigillo è infatti
diversificato, a seconda dell'autorità o dell'intenzione di chi lo usa.
Poteva essere un anello, un amuleto portato al collo, o a forma di
tampone. Si conoscono degli esemplari vetustissimi recanti, a seconda
dei tempi e dei gusti, incisioni di divinità, eroi mitici, animali,
scarabei, ritratti di persona, composizioni geometriche.
Il
sigillo impresso da un re su una lettera o un documento recante le
proprie decisioni è segno di potere
e di autorità:
corrisponde a una firma. Ogni regnante è contraddistinto da una
speciale impronta, senza possibilità di confusione.
Posto
su un testamento o su un atto riservato, il sigillo ha invece lo scopo
manifesto di proteggere e custodirne il contenuto: è dunque simbolo di
segretezza. Similmente, messo su di una porta o in luogo non
accessibile ha il senso dell'inviolabilità.
Impresso
a fuoco su una persona o un animale o un oggetto, il sigillo vuole
esprimere il diritto di proprietà da parte di chi ne detiene
l'impronta, mentre per il marcato può significare il diritto alla
protezione di chi glielo ha impresso o vi è raffigurato: è segno
pertanto di legittima
appartenenza.
Una
variante del sigillo è costituita dal tatuaggio, usato specialmente nei
riti di iniziazione o per esprimere l'investitura di un ufficio, oppure
l'ingresso in una data categoria o gruppo: in questo caso è segno di
identità.
Un’impronta sul cuore
Queste
varie accezioni trovano riscontro anche nelle pagine della Sacra
Scrittura. Il testo più noto dell'Antico Testamento è la celebre
espressione della sposa del Cantico, che così si rivolge allo sposo: «Mettimi
come sigillo sul tuo cuore, come sigillo
sul tuo braccio» (Ct 8,6).
Ricorrendo
al simbolo, la sposa vuole significare la propria consegna perpetua
all'amato, in un amore indelebile: vuole essere portata sempre con lo
sposo, quasi fosse un sigillo appeso al collo di lui e riposante sul suo
petto, o un tatuaggio indelebile inciso a fuoco sul braccio dell'amato.
Alla luce dei testi biblici descriventi l'alleanza tra Dio e il suo
popolo a immagine dell'amore sponsale, la frase del Cantico è
interpretabile come il desiderio di Israele di appartenere totalmente a
IHWH.
In
altri testi, Dio stesso pone il sigillo della sua presenza e signoria
nello spirito di chi l'ascolta sinceramente: «Porrò la mia legge nel
loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed
essi il mio popolo» (Ger 31,33). Anche il sacrificio compiuto al Sinai
(Es 24) a conclusione dell'alleanza mosaica, ha la funzione di
garantire, a mo' di sigillo, il patto tra Dio e il popolo d’Israele.
La
stessa circoncisione è vista dai rabbini come sigillo che schiude
l'ingresso nel popolo consacrato al Signore; ne accenna san Paolo
parlando di Abramo che «ricevette il segno della circoncisione quale
sigillo della giustizia derivante dalla fede» (Rm 4,11).
Esplicitamente
troviamo l'idea di Dio che pone il proprio sigillo su qualcuno per
esprimere sia la sua protezione, come nel caso del tau tracciato da
Ezechiele sulla fronte degli onesti di Gerusalemme (Ez 9,4-6), sia la
sua elezione, come nel caso di Zorobabele: «In quel giorno io ti
prenderò... e ti porrò come un sigillo, perché io ti ho eletto» (Ag
2,23).
Non
manca infine l'uso del verbo sigillare per significare la segretezza di
visioni e rivelazioni (Dn 12,4; Ap 5,1), per esprimere la chiusura di un
luogo (la fossa dei leoni in cui viene gettato Daniele è sigillata
direttamente dal re: Dn 6,18) o la fine di una situazione di peccato (Gb
14,17; Dn 9,24).
Il
sigillo del Dio vivente
Gesù,
Figlio di Dio fatto uomo, parla e opera come l'unto di Spirito Santo:
infatti «su di lui il Padre, Dio, ha posto il suo sigillo»
(Gv 6,27). L'umanità di Cristo si lascia in tutto plasmare dal volere
di Dio, è modellabile come argilla obbediente davanti al supremo
detentore dell'impronta originale dell'«uomo nuovo». Per questo Gesù
di Nazaret porta impresso il sigillo del Dio vivente: in Lui traspare il
Volto, la Presenza, la Voce di Colui che lo ha mandato. Chi vede Lui
vede il Padre, chi accoglie Lui accoglie il Padre.
Nulla
e nessuno, né la morte né il nemico potente della Vita, potrà
distruggere il «Figlio dell'uomo su cui Dio ha posto il suo sigillo».
Così la fossa dei leoni in cui Daniele attese la liberazione divina è
figura del sepolcro sigillato (Mt 27,66) da cui Cristo è risorto
vittorioso, spalancando all'umanità le porte sbarrate della comunione
eterna con Dio.
L'Apocalisse
ricorre volentieri all'immagine del sigillo, tanto per esprimere la
desiderata apertura di ciò che è inaccessibile e segreto, quanto per
indicare l'esclusiva appartenenza a Dio dei suoi servi fedeli.
L'autentico e definitivo Rivelatore del disegno salvifico è appunto
l'Agnello crocifisso e vivo per sempre, l'unico degno di aprire il libro
e di spezzare, uno dopo l'altro, i sette sigilli (cf Ap 5-8). Le
devastazioni del mondo presente, necessarie per la nascita di cieli e
terra nuova, risparmieranno coloro che porteranno impresso sulla fronte
«il sigillo del nostro Dio» (Ap 7,3-4; 9,4).
Il
sigillo dello Spirito Santo
L'assimilazione
a Cristo mediante il lavacro battesimale e la partecipazione alla sua
santa unzione nella confermazione fanno del fedele «un altro Cristo»,
un «cristiano» appunto. Con queste parole il Vescovo segna la fronte
dei battezzati col sacro crisma, per confermarli: «N. ricevi il sigillo
dello Spirito Santo che ti è dato in dono».
Il
mistero della nostra appartenenza alla Santissima Trinità viene così
espresso da san Paolo: «E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi,
in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo
e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2Cor 1,21-22).
Al
dono gratuito della redenzione che «marchia» lo spirito dei cristiani
trasfigurandoli in «nuove creature» deve corrispondere la consapevole
consegna al Signore, la fedeltà al suo servizio, la traduzione in
pratica dell'esortazione paolina: «Non vogliate rattristare lo Spirito
Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione» (Ef
4,30).
Sull'immagine
del sigillo è stata elaborata dalla tradizione orientale e occidentale
la categoria del carattere,
così spiegato nel Catechismo
della Chiesa Cattolica: «I tre sacramenti del Battesimo, della
Confermazione e dell'Ordine conferiscono, oltre la grazia, un carattere
sacramentale o sigillo in
forza del quale il cristiano partecipa del sacerdozio di Cristo e fa
parte della Chiesa secondo stati e funzioni diverse. Questa
configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è
indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione
positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e
come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa. Tali
sacramenti non possono dunque mai essere ripetuti» (n. 1121). Proprio
in ragione di simile «sigillatura» operata da Dio nel fuoco del suo
Spirito, non è possibile esaudire la richiesta di essere «sbattezzati»,
avanzata talvolta da qualche cristiano passato ad altra religione.
La
consapevolezza di recare impressa nell’intimo l’impronta del Signore
Gesù sostiene la preghiera dei battezzati, come traspare dal seguente
inno della Liturgia delle Ore: «Creati per la gloria del tuo nome,
redenti dal tuo sangue sulla croce, segnati dal sigillo del tuo Spirito,
noi t'invochiamo: salvaci, o Signore» (Ufficio
delle letture, venerdì I settimana).
Totalmente di
Cristo
Innestata
nella consacrazione “cristiana”, elargita nei sacramenti
dell’iniziazione cristiana, la vita consacrata testimonia chiaramente
la radicalità dell’appartenenza a Cristo. In virtù del calore dello
Spirito, la persona consacrata risponde alla vocazione di lasciarsi
manifestamente contrassegnare dai tratti connotativi del Vangelo di Gesù,
Maestro e Signore. Il sigillo battesimale brilla così di ulteriori
riflessi.
Lo
richiama la preghiera di consacrazione dei professi perpetui, in cui si
implora per loro la conformazione
e l’adesione a Cristo con tutto se stessi, quale materia malleabile
e docile al suo calco: «Guarda, o Padre, questi tuoi eletti: infondi in
loro lo Spirito di santità, perché possano adempiere con il tuo aiuto
ciò che per tuo dono hanno promesso. Contemplino sempre il divino
Maestro e al suo esempio conformino la loro vita… Ti piacciano per
l’umiltà, o Padre, ti servano docilmente, aderiscano a te con tutto
il cuore» (Rito della professione religiosa, formula I); «Manda il tuo
Spirito su questi tuoi figli, che hanno aderito con fede alla parola di
Cristo» (formula II).
E
similmente, anche nella solenne preghiera di benedizione delle professe
perpetue la Chiesa supplica Dio: «Aderiscano a te con fervore di carità,
fortificate dal santo vincolo della professione» (formula
I); «Manda, o Signore, il dono dello Spirito su queste tue figlie,
che per te hanno lasciato ogni cosa. Risplenda in esse, o Padre, il
volto del tuo Cristo, perché rendano visibile la sua presenza nella
Chiesa» (formula II).
La
vita dei consacrati deve dunque manifestare, come un sigillo eloquente,
la presenza di Colui che ne è il Signore, l’appartenenza esclusiva a
Dio: «In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al
di sopra di tutto» (preghiera di consacrazione delle vergini).
La
molteplicità dei carismi, corrispondente alle varie famiglie religiose
e alle differenti forme di vita consacrata esistenti nella Chiesa, fa
pensare alla ricchezza di “sigillatura” operata dall’unico
Signore: egli chiama uomini e donne a servirlo, stringendoli gelosamente
a sé, disegnando nelle loro esistenze le particolari fisionomie
carismatiche dell’unica sequela evangelica.
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