n. 1
gennaio 2002

 

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Simbolismo e vita consacrata
di Corrado Maggioni, S.M.M.

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I “segni” sono di differente genere, natura, tipologia, valore. Possono essere verbali o gestuali, ossia veicolare un messaggio tramite la parola oppure l’azione. Appartenendo al linguaggio simbolico, il segno svela il proprio significato a chi ha occhi e orecchi capaci di carpirlo. I simboli, infatti, dicono senza esaurire tutto il dicibile, mostrano senza dimostrare ogni dettaglio: alludono, evocano, fanno intuire, svelano e insieme nascondono una realtà che è altra rispetto a quanto è materialmente percepibile dai sensi. Il dire e l’agire simbolico interpellano dunque l’emotività, la fantasia, la corporeità delle cose. Parlano a tutta la persona e non soltanto alla sua intelligenza. Chiamano in causa l’esperienza.

Le relazioni umane nascono, si alimentano e si stabilizzano mediante dei segni esteriori, espressivi del mondo interiore. Avviene così anche nella relazione tra Dio e l’uomo. Come la chiamata divina ha bisogno di segnali e mediazioni per rendersi udibile e visibile, così anche la risposta umana si avvale del simbolismo per esprimersi ed esternarsi. L’universo liturgico-rituale, del resto, è colmo di agire simbolico! Gesti, parole, azioni, movimenti, elementi naturali, manifatture, spazio e tempo, luoghi e cose… sono espressivi del movimento discendente e ascendente, rinviano visibilmente a realtà invisibili.

Non è dunque difficile accostarsi alla vita consacrata lasciandosi condurre dal linguaggio simbolico. E’ la strada che si vuole proporre attraverso la lettura di simboli e segni che permettono di cogliere l’una o l’altra sfumatura che concorre a disegnare il mondo di quanti sono chiamati a testimoniare con la vita ciò che non sempre è direttamente spiegabile con parole e ragionamenti.

«Come sigillo sul tuo cuore» (Ct 8,6)

Oggi si usano i timbri per autenticare i documenti, le firme per qualificare gli indumenti, i marchi per assicurare una scarpa di vero cuoio: è un modo semplice ma immediato per dare il riferimento di una cosa o indicarne l'identità.

Gli antichi esprimevano lo stesso intendimento attraverso l'uso diffuso del sigillo: intagliato in pietre dure o ricavato da metalli preziosi, veniva premuto su materie plasmabili come la ceralacca, l'argilla, il piombo, lasciandovi così la sua impronta unica e originale. Si parla di sigillo a caldo se la materia che si vuole marcare necessita di essere riscaldata; di sigillo a secco se invece trattasi di materia direttamente imprimibile. Il risultato del sigillo è la riproduzione perfetta in un altro elemento dell'incisione originale.

 Uso molteplice del sigillo

Notissimo in tutte le civiltà, il sigillo si trova impiegato nei campi più disparati e nelle occasioni più diverse, sempre tuttavia allo scopo di manifestare una relazione, un legame, una volontà precisa. Il senso del sigillo è infatti diversificato, a seconda dell'autorità o dell'intenzione di chi lo usa. Poteva essere un anello, un amuleto portato al collo, o a forma di tampone. Si conoscono degli esemplari vetustissimi recanti, a seconda dei tempi e dei gusti, incisioni di divinità, eroi mitici, animali, scarabei, ritratti di persona, composizioni geometriche.

Il sigillo impresso da un re su una lettera o un documento recante le proprie decisioni è segno di potere e di autorità: corrisponde a una firma. Ogni regnante è contraddistinto da una speciale impronta, senza possibilità di confusione.

Posto su un testamento o su un atto riservato, il sigillo ha invece lo scopo manifesto di proteggere e custodirne il contenuto: è dunque simbolo di segretezza. Similmente, messo su di una porta o in luogo non accessibile ha il senso dell'inviolabilità.

Impresso a fuoco su una persona o un animale o un oggetto, il sigillo vuole esprimere il diritto di proprietà da parte di chi ne detiene l'impronta, mentre per il marcato può significare il diritto alla protezione di chi glielo ha impresso o vi è raffigurato: è segno pertanto di legittima appartenenza.

Una variante del sigillo è costituita dal tatuaggio, usato specialmente nei riti di iniziazione o per esprimere l'investitura di un ufficio, oppure l'ingresso in una data categoria o gruppo: in questo caso è segno di identità.

     Un’impronta sul cuore

Queste varie accezioni trovano riscontro anche nelle pagine della Sacra Scrittura. Il testo più noto dell'Antico Testamento è la celebre espressione della sposa del Cantico, che così si rivolge allo sposo: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio» (Ct 8,6).

Ricorrendo al simbolo, la sposa vuole significare la propria consegna perpetua all'amato, in un amore indelebile: vuole essere portata sempre con lo sposo, quasi fosse un sigillo appeso al collo di lui e riposante sul suo petto, o un tatuaggio indelebile inciso a fuoco sul braccio dell'amato. Alla luce dei testi biblici descriventi l'alleanza tra Dio e il suo popolo a immagine dell'amore sponsale, la frase del Cantico è interpretabile come il desiderio di Israele di appartenere totalmente a IHWH.

In altri testi, Dio stesso pone il sigillo della sua presenza e signoria nello spirito di chi l'ascolta sinceramente: «Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo» (Ger 31,33). Anche il sacrificio compiuto al Sinai (Es 24) a conclusione dell'alleanza mosaica, ha la funzione di garantire, a mo' di sigillo, il patto tra Dio e il popolo d’Israele.

La stessa circoncisione è vista dai rabbini come sigillo che schiude l'ingresso nel popolo consacrato al Signore; ne accenna san Paolo parlando di Abramo che «ricevette il segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede» (Rm 4,11).

Esplicitamente troviamo l'idea di Dio che pone il proprio sigillo su qualcuno per esprimere sia la sua protezione, come nel caso del tau tracciato da Ezechiele sulla fronte degli onesti di Gerusalemme (Ez 9,4-6), sia la sua elezione, come nel caso di Zorobabele: «In quel giorno io ti prenderò... e ti porrò come un sigillo, perché io ti ho eletto» (Ag 2,23).

Non manca infine l'uso del verbo sigillare per significare la segretezza di visioni e rivelazioni (Dn 12,4; Ap 5,1), per esprimere la chiusura di un luogo (la fossa dei leoni in cui viene gettato Daniele è sigillata direttamente dal re: Dn 6,18) o la fine di una situazione di peccato (Gb 14,17; Dn 9,24).

      Il sigillo del Dio vivente

Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, parla e opera come l'unto di Spirito Santo: infatti «su di lui il Padre, Dio, ha posto il suo sigillo» (Gv 6,27). L'umanità di Cristo si lascia in tutto plasmare dal volere di Dio, è modellabile come argilla obbediente davanti al supremo detentore dell'impronta originale dell'«uomo nuovo». Per questo Gesù di Nazaret porta impresso il sigillo del Dio vivente: in Lui traspare il Volto, la Presenza, la Voce di Colui che lo ha mandato. Chi vede Lui vede il Padre, chi accoglie Lui accoglie il Padre.

Nulla e nessuno, né la morte né il nemico potente della Vita, potrà distruggere il «Figlio dell'uomo su cui Dio ha posto il suo sigillo». Così la fossa dei leoni in cui Daniele attese la liberazione divina è figura del sepolcro sigillato (Mt 27,66) da cui Cristo è risorto vittorioso, spalancando all'umanità le porte sbarrate della comunione eterna con Dio.

L'Apocalisse ricorre volentieri all'immagine del sigillo, tanto per esprimere la desiderata apertura di ciò che è inaccessibile e segreto, quanto per indicare l'esclusiva appartenenza a Dio dei suoi servi fedeli. L'autentico e definitivo Rivelatore del disegno salvifico è appunto l'Agnello crocifisso e vivo per sempre, l'unico degno di aprire il libro e di spezzare, uno dopo l'altro, i sette sigilli (cf Ap 5-8). Le devastazioni del mondo presente, necessarie per la nascita di cieli e terra nuova, risparmieranno coloro che porteranno impresso sulla fronte «il sigillo del nostro Dio» (Ap 7,3-4; 9,4).

     Il sigillo dello Spirito Santo

L'assimilazione a Cristo mediante il lavacro battesimale e la partecipazione alla sua santa unzione nella confermazione fanno del fedele «un altro Cristo», un «cristiano» appunto. Con queste parole il Vescovo segna la fronte dei battezzati col sacro crisma, per confermarli: «N. ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono».

Il mistero della nostra appartenenza alla Santissima Trinità viene così espresso da san Paolo: «E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2Cor 1,21-22).

Al dono gratuito della redenzione che «marchia» lo spirito dei cristiani trasfigurandoli in «nuove creature» deve corrispondere la consapevole consegna al Signore, la fedeltà al suo servizio, la traduzione in pratica dell'esortazione paolina: «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione» (Ef 4,30).

Sull'immagine del sigillo è stata elaborata dalla tradizione orientale e occidentale la categoria del carattere, così spiegato nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «I tre sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Ordine conferiscono, oltre la grazia, un carattere sacramentale o sigillo in forza del quale il cristiano partecipa del sacerdozio di Cristo e fa parte della Chiesa secondo stati e funzioni diverse. Questa configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa. Tali sacramenti non possono dunque mai essere ripetuti» (n. 1121). Proprio in ragione di simile «sigillatura» operata da Dio nel fuoco del suo Spirito, non è possibile esaudire la richiesta di essere «sbattezzati», avanzata talvolta da qualche cristiano passato ad altra religione.

La consapevolezza di recare impressa nell’intimo l’impronta del Signore Gesù sostiene la preghiera dei battezzati, come traspare dal seguente inno della Liturgia delle Ore: «Creati per la gloria del tuo nome, redenti dal tuo sangue sulla croce, segnati dal sigillo del tuo Spirito, noi t'invochiamo: salvaci, o Signore» (Ufficio delle letture, venerdì I settimana).

Totalmente di Cristo

Innestata nella consacrazione “cristiana”, elargita nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, la vita consacrata testimonia chiaramente la radicalità dell’appartenenza a Cristo. In virtù del calore dello Spirito, la persona consacrata risponde alla vocazione di lasciarsi manifestamente contrassegnare dai tratti connotativi del Vangelo di Gesù, Maestro e Signore. Il sigillo battesimale brilla così di ulteriori riflessi.

Lo richiama la preghiera di consacrazione dei professi perpetui, in cui si implora per loro la conformazione e l’adesione a Cristo con tutto se stessi, quale materia malleabile e docile al suo calco: «Guarda, o Padre, questi tuoi eletti: infondi in loro lo Spirito di santità, perché possano adempiere con il tuo aiuto ciò che per tuo dono hanno promesso. Contemplino sempre il divino Maestro e al suo esempio conformino la loro vita… Ti piacciano per l’umiltà, o Padre, ti servano docilmente, aderiscano a te con tutto il cuore» (Rito della professione religiosa, formula I); «Manda il tuo Spirito su questi tuoi figli, che hanno aderito con fede alla parola di Cristo» (formula II).

E similmente, anche nella solenne preghiera di benedizione delle professe perpetue la Chiesa supplica Dio: «Aderiscano a te con fervore di carità, fortificate dal santo vincolo della professione» (formula I); «Manda, o Signore, il dono dello Spirito su queste tue figlie, che per te hanno lasciato ogni cosa. Risplenda in esse, o Padre, il volto del tuo Cristo, perché rendano visibile la sua presenza nella Chiesa» (formula II).

La vita dei consacrati deve dunque manifestare, come un sigillo eloquente, la presenza di Colui che ne è il Signore, l’appartenenza esclusiva a Dio: «In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto» (preghiera di consacrazione delle vergini).

La molteplicità dei carismi, corrispondente alle varie famiglie religiose e alle differenti forme di vita consacrata esistenti nella Chiesa, fa pensare alla ricchezza di “sigillatura” operata dall’unico Signore: egli chiama uomini e donne a servirlo, stringendoli gelosamente a sé, disegnando nelle loro esistenze le particolari fisionomie carismatiche dell’unica sequela evangelica.

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