Ci siamo rivolti per questa riflessione a
una delle persone che in Italia con più convinzione e competenza e da
più anni lavorano nel campo delle relazioni ebraico-cristiane: la dott.
Lea Sestrieri* che ringraziamo da queste pagine per la
cortesia e la competenza con cui ha risposto alle nostre domande.
1. Esistono studi recenti di
autorevoli pensatori ebrei circa Gesù di Nazaret?
La storia del XX secolo, che ha visto
purtroppo l’eccidio ebraico più spaventoso, ma anche la creazione
dello Stato di Israele, “inizio del nostro riscatto”, e da parte
cristiana il concilio Vaticano Il, presenta inevitabilmente e
necessariamente un capovolgimento di pregiudizi e stereotipi alla luce
degli orrori che hanno messo il mondo cristiano di fronte alle proprie
responsabilità in relazione al destino ebraico, e il mondo ebraico di
fronte prima a una soluzione finale e poi a un cammino di libertà
completamente nuovo dopo duemila anni di emarginazione.
In questo rivolgimento era inevitabile
che l’ebraismo nelle sue varie accezioni si trovasse a prendere
posizione sul problema Gesù.
E’ alla fine della seconda guerra
mondiale che gli studi si moltiplicano con titoli che dovevano sfociare
inevitabilmente in quello del libro di Geza Vermes: Gesù l’ebreo.
Più generale su Gesù, il cristianesimo
e i rapporti con l’ebraismo, il famosissimo Gesù e Israele di Jules
Isaac uscito nel 1948, che inizia la serie della postguerra.
Vengono poi i libri più conosciuti di
Shalom Ben Chorin Gesù mio fratello del 1967, di David Flusser, Gesù
(1969) e Gli ultimi giorni di Gesù in Gerusalemme (1980); Il Rabbi di
Nazaretb e Il figlio di Giuseppe? di Pinchas Lapide rispettivamente del
1974 e 1976. Ed infine Gesù l’ebreo di Geza Vermes (1973).
Non ho accennato a Martin Buber anche se
il suo interesse per la figura di Gesù è stato sempre vivo e di lui
parla in varie sue opere, perché Buber non ha scritto un’opera
esclusivamente dedicata a lui, ma è certo che nei giudizi e nel
rapporto nuovo che si è stabilito e si continua a stabilire tra ebrei e
Gesù, Buber occupa un posto di primo piano.
Tutti gli studi che si sono svolti con
rigore scientifico hanno riportato in primo piano non solo la realtà
storica dell’esistenza di Gesù di Nazareth e dei suoi stretti
rapporti con gli ebrei suoi contemporanei, ma soprattutto la sua
appartenenza al popolo ebraico in senso nazionalista e la sua
spiritualità ebraica nel senso profetico e farisaico tradizionale. Di
qui la necessità e l’onestà infine di intitolare un libro sulla sua
vita e la sua predicazione non solo “Gesù”, non solo “Gesù di
Nazareth” o “Gesù mio fratello” o con segno interrogativo “Il
figlio di Giuseppe?”, ma, Gesù l’ebreo, che significa “il figlio
che s’era perso è stato ritrovato”. Cioè Gesù ritorna a casa, al
suo popolo (Ben Chorin).
Sorgono così le ricostruzioni di Flusser,
di Ben Chorin, di Lapide e di Geza Vermes.
Flusser, attento a ogni parola dei
Vangeli, della letteratura e tradizione religiosa ebraica, ricerca il
Gesù come si è presentato ai suoi contemporanei, come si è potuto
comprendere lui stesso nella coscienza di predestinato e inviato di Dio,
e vi trova un ebreo fedele alla Torah, mai in opposizione con la legge
del suo tempo, che però considerava il valore morale di un precetto
più importante di quello rituale.
Shalom Ben Chorin nel suo libro Gesù,
mio fratello conclude: “Durante due millenni Gesù è rimasto in terra
straniera, mentre il figlio maggiore - il popolo ebraico - conservava
uno stretto atteggiamento d’obbedienza al Padre. Ma sembra ormai che
si sia instaurato un processo di ritorno di Gesù in seno al popolo
ebraico. Lui fa ritorno alla casa del padre: il figlio maggiore deve
rallegrarsi perché il nostro fratello Gesù era morto, ed ecco è di
nuovo vivo. Era perduto ed ecco è ritrovato”.
Pinchas Lapide, ebreo ortodosso, è un
attivo interlocutore del dialogo ebraico-cristiano. Nel suo Figlio di
Giuseppe? fa una lunga disamina degli scritti ebraici su Gesù
attraverso i secoli e arriva fino ai nostri giorni.
Osserva che la preoccupazione di
ricercatori e autori israeliani è la ricerca di un quinto Gesù (oltre
ai quattro dei Vangeli), non ultraterreno, ma ebreo profondamente
radicato nella fede del suo popolo, di cui essere fieri come di colui
che ha portato l’Occidente al Dio di Israele, e che, proprio perché
profondamente ebreo, ha acquistato una dimensione universale.
Nel suo dialogo con Hans Küng, Gesù
segno di contraddizione, Lapide sottolinea cinque legami di Gesù con l’ebraismo:
la terra, la lingua, la comprensione della Bibbia (ebraica, unica
Scrittura per lui, come per Giovanni), la fantasia orientale, la
preoccupazione per Israele; e sei punti per cui era ebreo nello spirito:
speranza, cieca fiducia in Dio, ethos ebraico, escatologia, impazienza
giudaico-messianica, sofferenza. E dichiara: “Non comprendo perché
dovrei rinunciare a un luminare dell’ebraismo come il rabbi di
Nazareth solo perché alcune delle immagini cristiane del Cristo non mi
piacciono”.
Concludo con il libro di Geza Vermes,
Gesù l’ebreo, perché lo considero per ora il chiaro punto d’arrivo
di tutti questi studi di ricostruzione della figura di Gesù. Dice l’autore
nella prefazione: “Nei primi tre capitoli ho cercato di inserire il
Gesù dei Vangeli nelle realtà geografiche e storiche e nel contesto
religioso carismatico del giudaismo del secolo I e su questo sfondo la
figura di Gesù chasid galileo e uomo pio, comincia a prendere
consistenza. Nel resto del libro sono studiati i titoli di Gesù nel
Nuovo Testamento (profeta, signore, messia, figlio dell’uomo e figlio
di Dio) e si arriva a dimostrare che questi titoli, nella loro accezione
originale, descrivono esattamente la stessa figura di maestro e
taumaturgo nella prima parte del volume”.
2. Le sue indicazioni ci hanno fatto
venire un vivo desiderio di accedere alle opere da lei suggerite. Ma...
come sono andate le cose?
Cominciamo dal rapporto tra Gesù vivo e
i suoi correligionari di Galilea e di Giudea. Purtroppo le notizie che
ci sono pervenute non appartengono alla categoria delle notizie
storico-obiettive, né sono state scritte nel momento in cui i fatti
avvenivano, ma come minimo cinquant’anni più tardi e rispondevano
già a determinati principi e fini - non voglio dire propagandistici -
ma senz’altro di diffusione e di edificazione, “con l’intento di
testimoniare la fede dei primi seguaci di Gesù”.
Gesù è un ebreo di Galilea, vive in una
famiglia osservante, in una città, forse Nazareth, che allora doveva
essere molto piccola. Gesù intraprese la sua predicazione quando già
era un uomo maturo. Tra lui e i vari gruppi di pensiero esistono
differenze, discussioni, ma non opposizioni né emarginazioni. I
rapporti con gli altri sono registrati nei Vangeli sia in forma positiva
che negativa. E’ il rapporto entusiasta degli ammé haaretz suoi
compaesani che ammiravano in lui il maestro carismatico guaritore ed
esorcista (Mc 6,54-56); è il rispetto e l’amore dei discepoli per la
sua forte personalità - anche se lo abbandonarono nel momento della
prova suprema; è l’accettazione implicita della sua messianicità da
parte della folla di Gerusalemme.
Ma è anche la prima opposizione dei suoi
familiari e dei vicini, e quella poi di alcuni circoli
religioso-politici. E dico alcuni circoli perché è molto difficile
identificarli con esattezza. Opposizione che dovette essere più a
livello di discussione che di emarginazione; proprio perché tutto l’ambiente
rabbinico era abituato a discussioni del genere di quelle che si
riscontrano nei Vangeli e che hanno il loro chiaro parallelo nella
Mishnah, nel Talmud e in altri scritti rabbinici.
Secondo Atti 6,7 e 15,5 la Chiesa
primitiva contava un grande numero di sacerdoti e un certo numero di
farisei, e l’atteggiamento dei dottori della Torah verso i seguaci di
Gesù fu positivo, come è ricordato in Atti 5,38-40 (episodio di
Gamaliele). E del resto i primi cristiani appartenevano alla comunità
ebraica, come pure ebraico fu l’inizio della letteratura evangelica.
3. Si dice spesso che nel Talmud ci
siano espressioni offensive nei riguardi di Gesù.
Il periodo dei secoli III-XI, presenta un
grosso cambiamento. Già con Paolo il conflitto si era manifestato e lo
“scandalo” era nato con il concetto di un Dio Salvatore morto in
croce per riscattare i peccati dell’umanità. Scandalo che per l’ebraismo
trovava le sue radici nel concetto blasfemo della deificazione dell’uomo.
Ma in questo periodo era ancora viva in molti l’immagine dell’uomo
Gesù e del suo vissuto ebraico, perché gli strali si rivolgessero
contro Gesù stesso. Solo più tardi, quando la Chiesa, nella sua
costituzione prima e nel suo trionfo dopo cambiò l’essenza ebraica di
Gesù, contrapponendo le sue parole a quelle della Torah, dimenticando e
facendo dimenticare in un lungo processo i concetti biblici ebraici, al
punto che ancora oggi si deve spesso ricordare che “ama il prossimo
tuo come te stesso” è scritto due volte in Levitico 19; solo a questo
momento sorgono tra gli ebrei la denigrazione, il disprezzo per Gesù a
cui viene attribuita l’origine di questi rovesciamenti e lo spunto “innocente”
di atroci persecuzioni.
I testi talmudici su Gesù sono scarsi,
massimo una quindicina di pagine e non tutte denigratorie. Direi che da
parte rabbinica c’è stata anzi una certa discrezione attuata in parte
con il silenzio, e in parte con affermazioni in cui non si notano l’odio
amaro e l’ostilità posteriori. C. Thoma nel suo libro Teologia
cristiana dell’ebraismo nota che la Mishnah non contiene un solo passo
chiaramente ostile a Gesù e al cristianesimo e osserva: “Tale
riservatezza polemica fu una testimonianza inaudita di profonda forza
interiore in un’epoca in cui i Padri della Chiesa predicavano e
scrivevano in termini aggressivi e chiassosi contro il giudaismo”.
In breve, quello che si ricava dal Talmud
può ridursi a questo: Il suo nome era Jeshua (jeshu) di Nazaret.
Praticò la stregoneria e la seduzione e conduceva Israele per un
cammino sbagliato; si burlò delle parole dei savi e commentò la
Scrittura come i farisei; ebbe cinque discepoli. Disse che non era
venuto ad abrogare niente della Legge né ad aggiungere niente (Shabbat
116a e b); fu appeso a un legno (crocifisso) come falso maestro e
seduttore, in vigilia di Pasqua (era sabato); i suoi discepoli curavano
malattie in suo nome. In quanto alla nascita era scritto bastardo di una
adultera, suo padre si chiamava Pandera o Pantere”.
Solo quando, come accennavamo prima, i
padri della Chiesa e la Chiesa trionfante, sia quella bizantina sia
quella di Roma, avevano adottato verso gli ebrei un atteggiamento
diffamatorio, in cui il nome di Gesù e la sua morte venivano usati come
punto di partenza per le più atroci persecuzioni, cambiò anche l’atteggiamento
ebraico verso Gesù, considerato ormai la causa di tutti i mali dell’ebreo.
E così, attraverso rifacimenti e adattamenti di antiche tradizioni più
o meno popolari, prende forma durante i secoli un cattivo pamphlet
caricaturale conosciuto con il nome di Toledot Yeshu, Maase Talui (Le
storie di Gesù, le azioni dell’appeso).
Il libretto è un insieme di leggende e
detti talmudici e midrashici che in alcuni casi si sovrappongono e si
contraddicono, e non contiene nessuna storia degna di tal nome, ma ci
permette di conoscere il punto di vista ebraico dal sec. V al X sulla
vita e gli insegnamenti di Gesù e può chiarire quali opinioni
suscitava il cristianesimo tra gli ebrei, cioè ci dice, in un certo
senso, come apparivano gli avvenimenti agli occhi degli ebrei. Dice
Joseph Klausner: “Da questo libretto si rileva che l’atteggiamento
rispetto a Gesù peggiorò quando i gentili cominciarono ad abbracciare
la nuova fede e a disprezzare l’ebraismo e divenne ancora più ostile
quando i cristiani, di origine ebraica e non ebraica, cominciarono a
perseguitare gli ebrei. Essi, nella impossibilità di vendicarsi
fisicamente dei loro potenti nemici, si ripagavano con scritti e parole.
Le invenzioni e leggende piene di odio e a volte di penetrante scherno
contro il cristianesimo e il suo fondatore andarono aumentando. Non si
negava niente di quanto dicevano i Vangeli: li si trasformava in una
fonte di ridicolo e di colpa”.
Nei secc. XI-XVIII in cui gli avvenimenti
sono tanti e così diversi sia per la Chiesa che per gli ebrei - da una
parte le crociate, lotte Chiesa-impero, scoperte geografiche, riforma,
controriforma, inizio dell’illuminismo; dall’altra persecuzioni ed
eccidi durante le crociate e la peste nera, espulsione dall’Inghilterra,
Francia, Spagna e stragi cosacche in Polonia - il suo nome non viene mai
pronunciato.
4. Il secolo XIX porta profondi
mutamenti socio-politici e studi biblici rinnovati. Tutto questo come si
riflette sul modo ebraico di considerare Gesù?
L’emancipazione con la concessione
della parità giuridica e civile, diventata una realtà se pur lenta,
libera gli ebrei da una serie di restrizioni e costrizioni mentali. L’atteggiamento
di maggiore apertura e comprensione verso il cristianesimo, iniziato nel
sec. XVIII con l’illuminismo ebraico (haskalah), si allarga e la
figura di Gesù comincia a essere avvicinata e studiata in vari ambienti
ebraici specialmente liberali. Anche se limitatamente a pochi studiosi,
si deve a questo secolo una prima impostazione critico-storica di Gesù.
L’emancipazione, l’assimilazione di
molti, il ridimensionamento del potere politico delle chiese che
rientravano nei binari più strettamente spirituali, lo studio critico
dei testi religiosi - non solamente la Bibbia -, la scoperta di nuovi
testi apocrifi, aprivano il cammino agli studi storico-religiosi del
secolo XX e a una nuova forma di dialogo, libero finalmente dal pericolo
di accuse inquisitoriali, da condanne e persecuzioni.
L’ebraismo liberale e riformato che ha
dato i maggiori contributi allo studio della figura di Gesù e
attraverso varie opere, tra cui alcune di notevole livello
scientifico-critico, alla formazione di una impostazione obiettiva sia
della persona Gesù sia di alcuni avvenimenti essenziali della sua vita.
Conclusione
Ancora una volta ringraziamo la Dott.
Sestrieri e siamo certi di interpretare il suo pensiero concludendo con
queste parole di Ben Chorin: “La fiducia incondizionata in Dio Padre:
ecco l’atteggiamento che Gesù ci propone e che può riunire tutti,
ebrei e cristiani”.
* Lea Sestrieri di
famiglia romana, è nata a Roma nel 1913. Laureata in Lettere e
Filosofia, si è specializzata all’Istituto Orientale e al Collegio
Rabbinico.
Ha al suo attivo una carriera accademica
tra le più ricche e affascinanti: docente di greco, ebraico,
letteratura biblica all’Università di Montevideo; dal 1968-1970
docente di lingua greca all’Università di Gerusalemme (Facoltà di
Lettere di Beer Sheva) e docente di lingua italiana nella Facoltà di
Lettere dell’Università di Tel Aviv; dal 1979-1985 incarico per l’insegnamento
di Ebraismo postbiblico all’Università Lateranense di Roma. Nel 1982
a Roma fonda insieme ad altri l’associazione Amicizia
ebraico-cristiana di cui è direttrice dei corsi dal 1983-2000; in
questi stessi anni collabora alla programmazione dei Colloqui di
Camaldoli ai quali partecipa anche come conferenziera. E’ intensa
anche la sua attività editoriale. Direttrice della collana “Radici”
dell’editrice Marietti; collabora con le riviste Judaica (Buenos
Aires), Rassegna mensile di Israele (Roma) Vita Monastica e Quaderni dei
Colloqui di Camaldoli. E’ autrice di numerose pubblicazioni, ne
citiamo alcune: Gli ebrei nella storia dei tre millenni (Carucci, 1980);
Le chiese cristiane e l’ebraismo in collaborazione con Giovanni Cereti
(Marietti, 1983); Spiritualità ebraica (Studium, 1987); Ebraismo e
cristianesimo, percorsi di mutua comprensione (Paoline Editoriale Libri,
Milano 2000).
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