n. 12
dicembre 2001

 

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L'immagine di Gesù nell'ebraismo
di Renza Fozzati (a cura)

 

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Ci siamo rivolti per questa riflessione a una delle persone che in Italia con più convinzione e competenza e da più anni lavorano nel campo delle relazioni ebraico-cristiane: la dott. Lea Sestrieri* che ringraziamo da queste pagine per la cortesia e la competenza con cui ha risposto alle nostre domande.

1. Esistono studi recenti di autorevoli pensatori ebrei circa Gesù di Nazaret?

La storia del XX secolo, che ha visto purtroppo l’eccidio ebraico più spaventoso, ma anche la creazione dello Stato di Israele, “inizio del nostro riscatto”, e da parte cristiana il concilio Vaticano Il, presenta inevitabilmente e necessariamente un capovolgimento di pregiudizi e stereotipi alla luce degli orrori che hanno messo il mondo cristiano di fronte alle proprie responsabilità in relazione al destino ebraico, e il mondo ebraico di fronte prima a una soluzione finale e poi a un cammino di libertà completamente nuovo dopo duemila anni di emarginazione.

In questo rivolgimento era inevitabile che l’ebraismo nelle sue varie accezioni si trovasse a prendere posizione sul problema Gesù.

E’ alla fine della seconda guerra mondiale che gli studi si moltiplicano con titoli che dovevano sfociare inevitabilmente in quello del libro di Geza Vermes: Gesù l’ebreo.

Più generale su Gesù, il cristianesimo e i rapporti con l’ebraismo, il famosissimo Gesù e Israele di Jules Isaac uscito nel 1948, che inizia la serie della postguerra.

Vengono poi i libri più conosciuti di Shalom Ben Chorin Gesù mio fratello del 1967, di David Flusser, Gesù (1969) e Gli ultimi giorni di Gesù in Gerusalemme (1980); Il Rabbi di Nazaretb e Il figlio di Giuseppe? di Pinchas Lapide rispettivamente del 1974 e 1976. Ed infine Gesù l’ebreo di Geza Vermes (1973).

Non ho accennato a Martin Buber anche se il suo interesse per la figura di Gesù è stato sempre vivo e di lui parla in varie sue opere, perché Buber non ha scritto un’opera esclusivamente dedicata a lui, ma è certo che nei giudizi e nel rapporto nuovo che si è stabilito e si continua a stabilire tra ebrei e Gesù, Buber occupa un posto di primo piano.

Tutti gli studi che si sono svolti con rigore scientifico hanno riportato in primo piano non solo la realtà storica dell’esistenza di Gesù di Nazareth e dei suoi stretti rapporti con gli ebrei suoi contemporanei, ma soprattutto la sua appartenenza al popolo ebraico in senso nazionalista e la sua spiritualità ebraica nel senso profetico e farisaico tradizionale. Di qui la necessità e l’onestà infine di intitolare un libro sulla sua vita e la sua predicazione non solo “Gesù”, non solo “Gesù di Nazareth” o “Gesù mio fratello” o con segno interrogativo “Il figlio di Giuseppe?”, ma, Gesù l’ebreo, che significa “il figlio che s’era perso è stato ritrovato”. Cioè Gesù ritorna a casa, al suo popolo (Ben Chorin).

Sorgono così le ricostruzioni di Flusser, di Ben Chorin, di Lapide e di Geza Vermes.

Flusser, attento a ogni parola dei Vangeli, della letteratura e tradizione religiosa ebraica, ricerca il Gesù come si è presentato ai suoi contemporanei, come si è potuto comprendere lui stesso nella coscienza di predestinato e inviato di Dio, e vi trova un ebreo fedele alla Torah, mai in opposizione con la legge del suo tempo, che però considerava il valore morale di un precetto più importante di quello rituale.

Shalom Ben Chorin nel suo libro Gesù, mio fratello conclude: “Durante due millenni Gesù è rimasto in terra straniera, mentre il figlio maggiore - il popolo ebraico - conservava uno stretto atteggiamento d’obbedienza al Padre. Ma sembra ormai che si sia instaurato un processo di ritorno di Gesù in seno al popolo ebraico. Lui fa ritorno alla casa del padre: il figlio maggiore deve rallegrarsi perché il nostro fratello Gesù era morto, ed ecco è di nuovo vivo. Era perduto ed ecco è ritrovato”.

Pinchas Lapide, ebreo ortodosso, è un attivo interlocutore del dialogo ebraico-cristiano. Nel suo Figlio di Giuseppe? fa una lunga disamina degli scritti ebraici su Gesù attraverso i secoli e arriva fino ai nostri giorni.

Osserva che la preoccupazione di ricercatori e autori israeliani è la ricerca di un quinto Gesù (oltre ai quattro dei Vangeli), non ultraterreno, ma ebreo profondamente radicato nella fede del suo popolo, di cui essere fieri come di colui che ha portato l’Occidente al Dio di Israele, e che, proprio perché profondamente ebreo, ha acquistato una dimensione universale.

Nel suo dialogo con Hans Küng, Gesù segno di contraddizione, Lapide sottolinea cinque legami di Gesù con l’ebraismo: la terra, la lingua, la comprensione della Bibbia (ebraica, unica Scrittura per lui, come per Giovanni), la fantasia orientale, la preoccupazione per Israele; e sei punti per cui era ebreo nello spirito: speranza, cieca fiducia in Dio, ethos ebraico, escatologia, impazienza giudaico-messianica, sofferenza. E dichiara: “Non comprendo perché dovrei rinunciare a un luminare dell’ebraismo come il rabbi di Nazareth solo perché alcune delle immagini cristiane del Cristo non mi piacciono”.

Concludo con il libro di Geza Vermes, Gesù l’ebreo, perché lo considero per ora il chiaro punto d’arrivo di tutti questi studi di ricostruzione della figura di Gesù. Dice l’autore nella prefazione: “Nei primi tre capitoli ho cercato di inserire il Gesù dei Vangeli nelle realtà geografiche e storiche e nel contesto religioso carismatico del giudaismo del secolo I e su questo sfondo la figura di Gesù chasid galileo e uomo pio, comincia a prendere consistenza. Nel resto del libro sono studiati i titoli di Gesù nel Nuovo Testamento (profeta, signore, messia, figlio dell’uomo e figlio di Dio) e si arriva a dimostrare che questi titoli, nella loro accezione originale, descrivono esattamente la stessa figura di maestro e taumaturgo nella prima parte del volume”.

 

2. Le sue indicazioni ci hanno fatto venire un vivo desiderio di accedere alle opere da lei suggerite. Ma... come sono andate le cose?

Cominciamo dal rapporto tra Gesù vivo e i suoi correligionari di Galilea e di Giudea. Purtroppo le notizie che ci sono pervenute non appartengono alla categoria delle notizie storico-obiettive, né sono state scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, ma come minimo cinquant’anni più tardi e rispondevano già a determinati principi e fini - non voglio dire propagandistici - ma senz’altro di diffusione e di edificazione, “con l’intento di testimoniare la fede dei primi seguaci di Gesù”.

Gesù è un ebreo di Galilea, vive in una famiglia osservante, in una città, forse Nazareth, che allora doveva essere molto piccola. Gesù intraprese la sua predicazione quando già era un uomo maturo. Tra lui e i vari gruppi di pensiero esistono differenze, discussioni, ma non opposizioni né emarginazioni. I rapporti con gli altri sono registrati nei Vangeli sia in forma positiva che negativa. E’ il rapporto entusiasta degli ammé haaretz suoi compaesani che ammiravano in lui il maestro carismatico guaritore ed esorcista (Mc 6,54-56); è il rispetto e l’amore dei discepoli per la sua forte personalità - anche se lo abbandonarono nel momento della prova suprema; è l’accettazione implicita della sua messianicità da parte della folla di Gerusalemme.

Ma è anche la prima opposizione dei suoi familiari e dei vicini, e quella poi di alcuni circoli religioso-politici. E dico alcuni circoli perché è molto difficile identificarli con esattezza. Opposizione che dovette essere più a livello di discussione che di emarginazione; proprio perché tutto l’ambiente rabbinico era abituato a discussioni del genere di quelle che si riscontrano nei Vangeli e che hanno il loro chiaro parallelo nella Mishnah, nel Talmud e in altri scritti rabbinici.

Secondo Atti 6,7 e 15,5 la Chiesa primitiva contava un grande numero di sacerdoti e un certo numero di farisei, e l’atteggiamento dei dottori della Torah verso i seguaci di Gesù fu positivo, come è ricordato in Atti 5,38-40 (episodio di Gamaliele). E del resto i primi cristiani appartenevano alla comunità ebraica, come pure ebraico fu l’inizio della letteratura evangelica.

 

3. Si dice spesso che nel Talmud ci siano espressioni offensive nei riguardi di Gesù.

Il periodo dei secoli III-XI, presenta un grosso cambiamento. Già con Paolo il conflitto si era manifestato e lo “scandalo” era nato con il concetto di un Dio Salvatore morto in croce per riscattare i peccati dell’umanità. Scandalo che per l’ebraismo trovava le sue radici nel concetto blasfemo della deificazione dell’uomo. Ma in questo periodo era ancora viva in molti l’immagine dell’uomo Gesù e del suo vissuto ebraico, perché gli strali si rivolgessero contro Gesù stesso. Solo più tardi, quando la Chiesa, nella sua costituzione prima e nel suo trionfo dopo cambiò l’essenza ebraica di Gesù, contrapponendo le sue parole a quelle della Torah, dimenticando e facendo dimenticare in un lungo processo i concetti biblici ebraici, al punto che ancora oggi si deve spesso ricordare che “ama il prossimo tuo come te stesso” è scritto due volte in Levitico 19; solo a questo momento sorgono tra gli ebrei la denigrazione, il disprezzo per Gesù a cui viene attribuita l’origine di questi rovesciamenti e lo spunto “innocente” di atroci persecuzioni.

I testi talmudici su Gesù sono scarsi, massimo una quindicina di pagine e non tutte denigratorie. Direi che da parte rabbinica c’è stata anzi una certa discrezione attuata in parte con il silenzio, e in parte con affermazioni in cui non si notano l’odio amaro e l’ostilità posteriori. C. Thoma nel suo libro Teologia cristiana dell’ebraismo nota che la Mishnah non contiene un solo passo chiaramente ostile a Gesù e al cristianesimo e osserva: “Tale riservatezza polemica fu una testimonianza inaudita di profonda forza interiore in un’epoca in cui i Padri della Chiesa predicavano e scrivevano in termini aggressivi e chiassosi contro il giudaismo”.

In breve, quello che si ricava dal Talmud può ridursi a questo: Il suo nome era Jeshua (jeshu) di Nazaret. Praticò la stregoneria e la seduzione e conduceva Israele per un cammino sbagliato; si burlò delle parole dei savi e commentò la Scrittura come i farisei; ebbe cinque discepoli. Disse che non era venuto ad abrogare niente della Legge né ad aggiungere niente (Shabbat 116a e b); fu appeso a un legno (crocifisso) come falso maestro e seduttore, in vigilia di Pasqua (era sabato); i suoi discepoli curavano malattie in suo nome. In quanto alla nascita era scritto bastardo di una adultera, suo padre si chiamava Pandera o Pantere”.

Solo quando, come accennavamo prima, i padri della Chiesa e la Chiesa trionfante, sia quella bizantina sia quella di Roma, avevano adottato verso gli ebrei un atteggiamento diffamatorio, in cui il nome di Gesù e la sua morte venivano usati come punto di partenza per le più atroci persecuzioni, cambiò anche l’atteggiamento ebraico verso Gesù, considerato ormai la causa di tutti i mali dell’ebreo. E così, attraverso rifacimenti e adattamenti di antiche tradizioni più o meno popolari, prende forma durante i secoli un cattivo pamphlet caricaturale conosciuto con il nome di Toledot Yeshu, Maase Talui (Le storie di Gesù, le azioni dell’appeso).

Il libretto è un insieme di leggende e detti talmudici e midrashici che in alcuni casi si sovrappongono e si contraddicono, e non contiene nessuna storia degna di tal nome, ma ci permette di conoscere il punto di vista ebraico dal sec. V al X sulla vita e gli insegnamenti di Gesù e può chiarire quali opinioni suscitava il cristianesimo tra gli ebrei, cioè ci dice, in un certo senso, come apparivano gli avvenimenti agli occhi degli ebrei. Dice Joseph Klausner: “Da questo libretto si rileva che l’atteggiamento rispetto a Gesù peggiorò quando i gentili cominciarono ad abbracciare la nuova fede e a disprezzare l’ebraismo e divenne ancora più ostile quando i cristiani, di origine ebraica e non ebraica, cominciarono a perseguitare gli ebrei. Essi, nella impossibilità di vendicarsi fisicamente dei loro potenti nemici, si ripagavano con scritti e parole. Le invenzioni e leggende piene di odio e a volte di penetrante scherno contro il cristianesimo e il suo fondatore andarono aumentando. Non si negava niente di quanto dicevano i Vangeli: li si trasformava in una fonte di ridicolo e di colpa”.

Nei secc. XI-XVIII in cui gli avvenimenti sono tanti e così diversi sia per la Chiesa che per gli ebrei - da una parte le crociate, lotte Chiesa-impero, scoperte geografiche, riforma, controriforma, inizio dell’illuminismo; dall’altra persecuzioni ed eccidi durante le crociate e la peste nera, espulsione dall’Inghilterra, Francia, Spagna e stragi cosacche in Polonia - il suo nome non viene mai pronunciato.

 

4. Il secolo XIX porta profondi mutamenti socio-politici e studi biblici rinnovati. Tutto questo come si riflette sul modo ebraico di considerare Gesù?

L’emancipazione con la concessione della parità giuridica e civile, diventata una realtà se pur lenta, libera gli ebrei da una serie di restrizioni e costrizioni mentali. L’atteggiamento di maggiore apertura e comprensione verso il cristianesimo, iniziato nel sec. XVIII con l’illuminismo ebraico (haskalah), si allarga e la figura di Gesù comincia a essere avvicinata e studiata in vari ambienti ebraici specialmente liberali. Anche se limitatamente a pochi studiosi, si deve a questo secolo una prima impostazione critico-storica di Gesù.

L’emancipazione, l’assimilazione di molti, il ridimensionamento del potere politico delle chiese che rientravano nei binari più strettamente spirituali, lo studio critico dei testi religiosi - non solamente la Bibbia -, la scoperta di nuovi testi apocrifi, aprivano il cammino agli studi storico-religiosi del secolo XX e a una nuova forma di dialogo, libero finalmente dal pericolo di accuse inquisitoriali, da condanne e persecuzioni.

L’ebraismo liberale e riformato che ha dato i maggiori contributi allo studio della figura di Gesù e attraverso varie opere, tra cui alcune di notevole livello scientifico-critico, alla formazione di una impostazione obiettiva sia della persona Gesù sia di alcuni avvenimenti essenziali della sua vita.

 

Conclusione

Ancora una volta ringraziamo la Dott. Sestrieri e siamo certi di interpretare il suo pensiero concludendo con queste parole di Ben Chorin: “La fiducia incondizionata in Dio Padre: ecco l’atteggiamento che Gesù ci propone e che può riunire tutti, ebrei e cristiani”.

 

* Lea Sestrieri di famiglia romana, è nata a Roma nel 1913. Laureata in Lettere e Filosofia, si è specializzata all’Istituto Orientale e al Collegio Rabbinico.

Ha al suo attivo una carriera accademica tra le più ricche e affascinanti: docente di greco, ebraico, letteratura biblica all’Università di Montevideo; dal 1968-1970 docente di lingua greca all’Università di Gerusalemme (Facoltà di Lettere di Beer Sheva) e docente di lingua italiana nella Facoltà di Lettere dell’Università di Tel Aviv; dal 1979-1985 incarico per l’insegnamento di Ebraismo postbiblico all’Università Lateranense di Roma. Nel 1982 a Roma fonda insieme ad altri l’associazione Amicizia ebraico-cristiana di cui è direttrice dei corsi dal 1983-2000; in questi stessi anni collabora alla programmazione dei Colloqui di Camaldoli ai quali partecipa anche come conferenziera. E’ intensa anche la sua attività editoriale. Direttrice della collana “Radici” dell’editrice Marietti; collabora con le riviste Judaica (Buenos Aires), Rassegna mensile di Israele (Roma) Vita Monastica e Quaderni dei Colloqui di Camaldoli. E’ autrice di numerose pubblicazioni, ne citiamo alcune: Gli ebrei nella storia dei tre millenni (Carucci, 1980); Le chiese cristiane e l’ebraismo in collaborazione con Giovanni Cereti (Marietti, 1983); Spiritualità ebraica (Studium, 1987); Ebraismo e cristianesimo, percorsi di mutua comprensione (Paoline Editoriale Libri, Milano 2000).

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