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La
purificazione e la trasfigurazione dei sensi
«Il Verbo si è fatto
carne e venne ad abitare tra noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria
come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Il
Figlio di Dio è diventato uomo perché l’uomo potesse vedere Dio.
Per questo i nostri
sensi corporei possono percepire, discernere, gustare le cose di Dio non
solo mediante il cosiddetto libro della natura, ma anche e soprattutto
mediante il mistero dell’incarnazione. L’udito può ascoltare la Parola
di Dio, il gusto assaporare il pane di vita eterna, l’odorato inebriarsi
del «soave odore» del sacrificio di Cristo (cf Ef 5,2), il tatto
toccare il suo corpo eucaristico, la vista contemplarne il volto.
Guariti mediante la fede i sensi corporei possono aprirsi alla realtà
spirituale.
Ma per poter accedere
con tutto il suo essere a questa sapienza l’uomo deve essere istruito
dallo Spirito, «che scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1Cor
2,11). Non l’«uomo naturale», quindi, ma l’«uomo spirituale» può
esprimere cose spirituali in termini spirituali: «Quelle cose che occhio
non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha
preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,9).
Si tratta di una vera
e propria educazione ed elevazione spirituale. Dice, ad esempio, san
Giovanni della Croce: «Dio per elevare l’anima con soavità alla somma
conoscenza deve incominciare a muoverla dall’estremo limite dei sensi
per poterla innalzare così [...] fino al sommo vertice della sapienza
spirituale e divina, che non cade sotto il dominio dei sensi»1.
La capacità di
«vedere» e «gustare» la realtà divina da parte dell’uomo è un dono dello
Spirito del Cristo risorto. Gregorio di Nissa afferma che «respirare il
profumo degli aromi divini non è opera del nostro odorato e delle nostre
narici, ma di una particolare facoltà intellettuale e immateriale, che
ci fa respirare, aspirando lo Spirito Santo, il buon odore di Cristo»2.
Lo Spirito opera una vera e propria trasfigurazione dei sensi, che si
aprono alla contemplazione di Dio.
Tale influsso dello
Spirito del Padre e del Figlio è pienamente operante nel rapporto tra
Gesù e il prossimo bisognoso, tra Gesù e i suoi discepoli: i loro sensi
vengono guariti, purificati e trasfigurati per poter avere pieno accesso
alla realtà divina. È questo che mediteremo, rileggendo alcuni episodi
evangelici e riflettendo sull’esperienza spirituale dei santi.
I
sensi e la lode al Signore
«Signore, apri le mie
labbra, e la mia bocca proclami la tua lode» (Sal 50,17). Con questa
invocazione si apre ogni giorno la Liturgia delle Ore a gloria di Dio
Trinità. L’uomo, questa «fragile canna pensante»3,
consapevole, però, di essere stato creato a immagine e somiglianza di
Dio (cf Gn 1,26), prega il suo Creatore e Signore con tutto il suo
essere.
Superiore ai falsi
idoli delle genti che «hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non
vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano; hanno
mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono
suoni» (Sal 114,5-7), l’uomo è l’arpa del creato che loda Dio con il
canto, la danza e con tutto il suo essere: «Lodate il mio Dio con i
timpani, cantate al Signore con cembali, elevate a lui l’accordo del
salmo e della lode» (Gdt 16,1); «Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate» (Sal 32,3).
Ringraziando il
Signore per il dono della vita il Salmista canta: «Hai mutato il mio
lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io
possa cantare senza posa» (Sal 29,12-13). Fiducioso nella protezione
divina, mantiene sempre il suo sguardo rivolto verso il Signore: «A te
levo i miei occhi, a te che abiti nei cieli» (Sal 123,1).
I sensi del corpo -
tradizionalmente si parla di vista, udito, tatto, gusto e olfatto - sono
le porte, che aprono l’essere umano al mondo e al suo prossimo, ma sono
anche le vie che lo guidano al dialogo con Dio4,
quasi corde di una cetra misteriosa ma reale, mediante la quale egli
grida «Abbà, Padre», nella carità dello Spirito del Figlio (Gal 4,7).
La preghiera, la
grazia, ogni scelta e manifestazione spirituale dell’uomo non può non
avere una positiva ripercussione sulla sua sensibilità, che riceve
armonia ed esprime condivisione. Certo, non si deve dimenticare il
combattimento spirituale in atto tra la vita secondo la carne e la vita
secondo lo spirito. Come avverte Gregorio di Nissa, l’uomo è come una
fortezza con cinque porte, i sensi, che devono essere ben custodite per
evitare l’ingresso del nemico5.
Ma è altrettanto vero
che la grazia offre alla natura un plusvalore di forza e di efficacia
spirituale, che ne affina la sensibilità. L’evento, ad esempio, della
trasfigurazione di Gesù, di questa straordinaria e gloriosa metamorfosi
del suo corpo, provoca nei discepoli un sentimento di tale benessere da
spingere Pietro ad esclamare: «Maestro, è bello per noi stare qui» (Mc
9,5). È quasi il preludio della sorte riservata al nostro corpo ad opera
del Signore Gesù, «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per
conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di
sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3,21).
Ai discepoli di
Giovanni, che gli chiedevano se fosse lui il messia, Gesù rispose:
«Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi
riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i
sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona
novella» (Lc 7,22). La guarigione dei sensi era la premessa perché gli
uomini potessero aprirsi alla verità e alla realtà di Dio. La
restituzione della loro integrità indicava il ristabilimento di un retto
dialogo tra l’uomo e Dio.
«Effathà»
«Apriti» (Mc 7,34)
La guarigione del
sordomuto è uno dei miracoli più belli di Gesù: «E gli condussero un
sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte
lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli
toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e
disse: “Effathà” cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi,
si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc
7,32-35).
C’è una originalità
in questo miracolo. Negli altri è sufficiente la parola: «Alzati, prendi
il tuo lettuccio e cammina» (Gv 5,8), dice Gesù al paralitico della
piscina Bezata. Nella guarigione del servo del centurione, Gesù
addirittura lo guarisce da lontano: «”Va e sia fatto secondo la tua
fede”. In quell’istante il servo guarì» (Mt 8,13).
Invece, nel caso del
sordomuto, Gesù compie dei gesti concreti. Agisce non solo con la sua
parola “ricreatrice”, ma anche con le dita, che pone negli orecchi del
sordo, e con la saliva, con la quale gli tocca la lingua. Si tratta di
un miracolo in cui la realtà corporea viene molto evidenziata. Gesù ha
voluto riplasmare la materia per ricondurla alla sua originaria
integrità e nobiltà. In tal modo ha restituito all’uomo la sua
originaria identità di «uditore della Parola». Per questo la formula
“effathà” era presente nell’antica liturgia battesimale a indicare che
il battezzando veniva guarito dalla sua sordità spirituale e che quindi
le sue orecchie gli venivano aperte per l’ascolto della voce del
Signore.
Il
miracolo dei sensi
E’ vero che Maria
Maddalena riconosce Gesù Risorto con i sensi ma con la fede, ma è anche
vero che i nostri sensi possono percepire la realtà spirituale,
sporgendosi verso il divino, dal momento che è il nostro spirito che
vede e sente mediante i sensi. Tertulliano diceva che la carne era il
cardine della salvezza: «Quando l’anima viene unita a Dio, è la carne
che rende possibile questo legame. È la carne che viene battezzata,
perché l’anima venga mondata; la carne viene unta affinché l’anima sia
consacrata»6.
Origene parla delle
potenzialità spirituali dei nostri sensi: «la vista, che può fissare le
realtà superiori al corpo [...]; l’udito, che percepisce dei suoni che
non si trovano realmente nell’aria; il gusto che ci fa assaporare il
pane vivo disceso dal cielo per dare la vita al mondo; allo stesso modo
quei profumi di cui parla Paolo, che sono “per Dio il buon odore di
Cristo”; il tatto, grazie al quale Giovanni afferma di aver toccato le
mani del Verbo della vita. Avendo trovato questo senso divino, i beati,
i profeti guardano in modo divino, ascoltano in modo divino, gustano e
sentono allo stesso modo, e cioè mediante un senso che non è sensibile»7.
Il mondo spirituale
lo si può cogliere non solo con la fede e la ragione, ma anche con il
cuore e con i sensi. Già l’apostolo Giovanni aveva sottolineato con
forza il coinvolgimento dei sensi nell’esperienza spirituale della
conoscenza del Signore:
«Ciò che era fin da
principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i
nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani
hanno toccato, ossia il Verbo della vita “poiché la vita si è fatta
visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi
annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile
a noi”, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a
voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è
col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché
la nostra gioia sia perfetta» (1Gv 1,1-4).
La gioia della
comunione con Gesù, con il Padre e con lo Spirito Santo è propiziata e
sperimentata mediante l’ascolto, la vista, il contatto. Anche i sensi
sono in un certo modo avvertiti e pervasi dalla presenza di Dio.
Per questo, negli
Esercizi Spirituali S. Ignazio di Loyola pone l’esercizio
dell’applicazione dei cinque sensi alla contemplazione del mistero
dell’incarnazione e del Natale di Gesù. Oltre alla vista, egli invita a
“udire con l’udito ciò che [le persone] dicono o potrebbero dire e,
riflettendo in se stesso, trarne qualche vantaggio»8.
Si tratta cioè di vedere le persone con la vista immaginativa, udire con
l’udito, odorare e assaporare con l’odorato e col gusto, toccare col
tatto9.
Per venire incontro a questa nostra umana esigenza, Gesù ha voluto
rimanere presente in mezzo a noi anche visibilmente mediante
l’eucaristia.
La
fede di Giovanni: «vide e credette» (Gv 20,8)
Tutto ciò non è una
indebita e tardiva espansione della tradizione spirituale della Chiesa,
ma un fondato dato biblico originario. Giovanni nel suo vangelo racconta
la sua corsa verso il sepolcro, insieme a Pietro, per verificare cosa
era successo del corpo di Gesù.
Ecco il suo racconto
completo nei suoi dettagli:
«Uscì allora Simon
Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano
insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e
giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non
entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel
sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato
posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a
parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al
sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,3-8 nella traduzione CEI).
In questo passo è
importante comprendere bene il significato delle espressioni
nell’originale greco. Anzitutto si deve ricordare che il ricco sinedrita,
Giuseppe d’Arimatea, discepolo segreto di Gesù (Gv 19,38), uomo retto e
giusto, era riuscito a farsi dare da Pilato il cadavere del Signore e a
farlo seppellire nel sepolcro di cui era padrone. Inoltre lo stesso
Giuseppe d’Arimatea aveva messo a disposizione la tela, dalla quale
erano state ricavate tre tipi di bende: la prima, una specie di sindone,
era un lungo lenzuolo da stendere sopra e sotto il corpo di Gesù in modo
da coprirlo interamente in tutta la sua lunghezza; le altre bende erano
costituite da fasce molto larghe (othonia) per avvolgere in larghezza il
corpo martoriato; c’era poi una terza benda, chiamata sudario, formato
da un telo quadrato, come un fazzolettone, posto sul volto di Gesù.
Nella preparazione
del corpo di Gesù, Giuseppe d’Arimatea fu aiutato da Nicodemo, anche lui
fariseo, membro del sinedrio e anche lui discepolo segreto di Gesù (cf
Gv 3,1; 7,50). Nicodemo aveva portato una mistura di mirra ed aloe, che
era stata versata all’interno delle fasciature e anche in superficie,
per coprire il cattivo odore delle piaghe e del sangue rappreso.
Quando Giovanni prima
e Pietro dopo entrano nel sepolcro notano che le fasce giacevano non a
terra o sciolte, ma ancora avvolte e ben distese, anche se afflosciate.
Erano, cioè, rimaste ferme al loro posto. Avevano avvolto il cadavere di
Gesù, ma ora restavano nella stessa posizione, anche se svuotate. Pure
il sudario era in una strana posizione. Era rimasto al suo posto come le
bende, ma appariva arrotolato, per effetto della essiccazione degli
inguenti.
Entrando nel sepolcro
il giovane apostolo notò questa strana reliquia: e cioè l’involucro
delle fasce vuoto, senza il corpo di Gesù, e senza che le fasce fossero
state sciolte. Il corpo non era stato trafugato, ma era «sgusciato» come
la farfalla dal bruco. Corrispondeva quindi a verità la notizia portata
dalle donne. Per questo Giovanni «vide e credette». Vide, cioè, che le
bende afflosciate ma non sciolte, indicavano che il corpo del Signore
non era più lì ed era risorto in modo straordinario, proprio come aveva
predetto. E quindi credette. A Giovanni era stato concesso dal Signore
di credere dopo aver “visto”. I sensi lo avevano aiutato a vivere una
straordinaria esperienza di fede.
«Metti qua il tuo dito» (Gv 20,27)
Lo stesso realismo si
ha in un altro episodio pasquale, quello della incredulità di Tommaso,
il quale apertamente confessa: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei
chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano
nel suo costato, non crederò» (Gv 20,25). Il Signore venne incontro a
questo desiderio dell’apostolo e apparendo dopo otto giorni gli dice:
«Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e
mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!» (Gv
20,27).
La concretezza
corporea di questo dialogo viene ben illustrata dal famoso quadro del
Caravaggio, intitolato appunto L’incredulità di Tommaso: raffigura
l’apostolo che infila il dito nella piaga viva di Gesù e lo fa in modo
talmente profondo e realistico, che provoca i brividi nello spettatore.
La tela, dipinta a
Roma nei primi due anni del 1600 (ora si trova nella quadreria del
castello di Postdam, alle porte di Berlino), è di una perfezione
assoluta. Gli sguardi dei quattro personaggi (Gesù, Tommaso e altri due
apostoli) si concentrano sulla ferita del costato e sul dito
dell’apostolo. Non ci sono altre distrazioni. Lo sfondo è spoglio.
L’artista ha “zoomato” sul costato di Gesù, mettendo a fuoco il dito
dell’ apostolo che affonda nella piaga. Lo spettatore diventa il quinto
protagonista della tela: anche lui fissa lo sguardo solo sulla ferita di
Gesù. Un secondo particolare riguarda proprio la profondità della
esplorazione concreta di Tommaso, che si accerta della realtà del
Risorto non solo con il dito ma anche con due occhi sgranati in modo
ansioso. Due sensi - il tatto e la vista - provano più di uno solo.
Anche gli altri due
apostoli toccano la piaga con i loro occhi indagatori. Corrisponde del
resto alla parola di Gesù nel terzo vangelo: «Perche siete turbati, e
perche sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei
piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e
ossa come vedete che io ho» (Lc 24,38-39).
Tutto ciò ricorda
l’episodio dell’emoroissa che con fede tocca il mantello del Signore e
viene guarita (Lc 8,43-48). Sia durante la sua vita terrena, sia da
Risorto il Signore ha offerto ai nostri sensi la gioia di vederlo, di
gustarlo, di sentirlo, perchè possiamo riacquistare sia la salute del
corpo sia la fede in lui: «”Venite a mangiare” [...]. Allora Gesù si
avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce» (Gv
21,12-13); «”Resta con noi perche si fa sera e il giorno già volge al
declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro,
prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,29-31).
Sant’ Agostino
commenta al riguardo:
«E adesso, fratelli
miei, Gesù è in cielo. Quando era con i suoi discepoli nella sua carne
visibile, nella sua sostanza corporale, toccabile, fu visto e fu
toccato: ma ora che siede alla destra del Padre, chi di noi lo può
toccare? E tuttavia guai a noi se con la fede non lo tocchiamo! Tutti lo
tocchiamo, se crediamo. Certo, egli è in cielo, certo è lontano, certo
non si può immaginare per quali infiniti spazi disti da noi. Ma se
credi, lo tocchi. Che dico, lo tocchi? Proprio perché credi, presso di
te hai colui nel quale credi».#
Per questo, mediante
la fede, i discepoli di Gesù «vedono» e «accolgono» il Signore nei
bisognosi. Nella Regola di Macario leggiamo:
«”Esercitate
l’ospitalità” in ogni circostanza e “non distogliete gli occhi così da
lasciare il povero a mani vuote”, perché non accada che il Signore venga
da te nella persona dell’ospite o del povero e ti veda restio e tu sia
condannato, ma fa’ buon viso a tutti e agisci con fede»10.
Più precisa e
concreta è la Regola di S. Benedetto, che vede negli ospiti la presenza
stessa di Gesù:
«Tutti gli ospiti che
sopraggiungano, siano ricevuti come Cristo, perché Egli dirà: Fui ospite
e mi accoglieste; e a tutti si renda il conveniente onore, specialmente
poi a quanti ci sono familiari secondo la fede, e ai pellegrini [...].
Il superiore per riguardo all’ospite rompa pure il digiuno, purché non
si tratti d’uno speciale giorno di digiuno che non possa esser violato;
i fratelli invece seguano i consueti digiuni. L’acqua alle mani la versi
agli ospiti l’abate; i piedi a tutti gli ospiti li lavino sia l’abate
che tutta la comunità, e finita la lavanda dicano questo verso: Abbiamo
ricevuto, o Dio, la tua misericordia nel mezzo del tuo tempio»11.
Il
profumo della carità
Dice un proverbio
buddista: «Di poco valore è il profumo degli aranci o del sandalo,
mentre la fragranza dell’uomo virtuoso sale fino al cielo».# Nella casa
del fariseo Simone entra all’improvviso una donna con un vasetto di
profumo. Si inginocchia ai piedi di Gesù, glieli bagna con la lacrime,
li asciuga con i propri capelli, li bacia e li cosparge di olio
profumato.
Chi è questa donna? È
«una peccatrice», dice il vangelo due volte (cf Lc 7,37.39).
Il gesto della
peccatrice è quindi un gesto di adorazione a Gesù, che si comporta
proprio come Figlio di Dio, concedendole il perdono e la pace: «La tua
fede ti ha salvata; va’ in pace» (Lc 7,50). Una peccatrice, però, che
vuole cambiar vita.
I gesti della donna
erano a quel tempo dei gesti concreti e comuni quando si accoglievano
gli ospiti di riguardo: lavare i piedi, asciugarli, baciarli,
profumarli. Ma straordinaria è l’intensità dell’amore che la donna
mostra nel compierli. Non si serve di altra acqua che quella delle sue
lacrime e i suoi asciugamani sono i suoi capelli. E poi ci sono i baci e
i profumi, espressione di grande amore, ma anche di grande desiderio di
penitenza e di conversione. Sono tutti gesti indirizzati a Gesù.
Il profumo, infatti,
può anche essere indice di mortificazione e di digiuno. Gesù stesso
aveva detto: «quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto» (Mt
6,17).
Ma il gesto della
donna ha un altro significato: quello dell’amore a Gesù, come al Signore
che perdona e benedice. Nel tempio di Gerusalemme c’era l’altare dei
profumi sul quale veniva versata quotidianamente una coppa d’oro ripiena
di oli profumati. Il sacerdote, dopo aver sparso il profumo sulle braci,
usciva e benediceva il popolo con le parole: «Il Signore ti benedica e
ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti
conceda la pace» (cf Nm 6,24-26).
Ma il profumo indica
soprattutto la carità messa in pratica: «Fatevi dunque imitatori di Dio,
quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche
Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in
sacrificio di soave odore» (Ef 5,1-2). Lo stesso San Paolo, ringraziando
i cristiani di Filippi dei doni ricevuti, afferma che questi atti di
carità «sono un profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito
a Dio» (Fil 4,18).
La carità è quindi
una preghiera profumata al Signore che ci merita il perdono. Il profumo
è la fragranza dello Spirito Santo, l’odore della carità e dell’amore di
Dio infuso nei nostri cuori. Il gesto della peccatrice impressionò
talmente Gesù che lo ripropose lui stesso nell’evento della lavanda dei
piedi: «Si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se
lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a
lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si
era cinto» (Gv 13,4-5).
Su una delle pareti
musive della Cappella Redemptoris Mater inaugurata in Vaticano nel 1999,
le due scene sono messe in stretta correlazione, a significare che il
gesto concreto di amore ricevuto da Gesù fu da lui offerto ai discepoli
come suo testamento di carità e di servizio.
I
sensi, finestre spirituali
Concludiamo
rileggendo due esperienze che Ignazio di Loyola riporta nella sua
autobiografia. Si tratta di due «visioni» nelle quali i sensi del corpo
si aprono alla contemplazione del mistero eucaristico e dell’umanità
gloriosa di Gesù.
La prima avviene a
Manresa e Ignazio parla in terza persona:
«A Manresa dunque,
ascoltando un giorno la messa nella chiesa del convento, alla elevazione
del Corpo del Signore vide con gli occhi interiori come dei raggi
bianchi che scendevano dall’alto. Questo fenomeno, dopo tanto tempo,
egli non lo sa ricostruire bene; ma ciò che allora comprese, con tutta
chiarezza, fu percepire come era presente in quel santissimo Sacramento
Gesù Cristo nostro Signore»12.
Alla percezione della
reale presenza di Gesù nell’Eucaristia, fa seguito anche la
contemplazione dell’umanità di Cristo, un’esperienza che il Santo ebbe
con molta frequenza non solo a Manresa, ma anche a Gerusalemme e nei
pressi di Padova:
«Molte volte, e per
molto tempo, mentre era in preghiera, gli accadeva di vedere con gli
occhi interiori l’umanità di Cristo, e quello che vedeva era come un
corpo bianco, non molto grande né molto piccolo, ma senza alcuna
distinzione di membra [...]. Tutte queste esperienze lo confermarono
allora nella fede e gliene diedero poi sempre tanta fermezza da pensare
molte volte che, se non ci fosse la Scrittura a insegnarci queste
verità, era pronto a morire in loro testimonianza anche solo in forza di
quanto aveva visto»13.
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