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n. 1 del 2003

 

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Quando il corpo diventa Eucaristia
di Grazia Le Mura
 

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 Il corpo che ho o il corpo che sono? Il corpo va guardato con sospetto o in modo sereno? È un intralcio nel cammino di conversione o è un mezzo e uno strumento di conversione? La consacrazione va vissuta nonostante il proprio corpo e le esigenze della propria corporeità o va vissuta attraverso il proprio corpo e le esigenze della propria corporeità? La preghiera per un consacrato coinvolge solo mente e cuore o chiama in causa tutto il corpo e implica tutta la corporeità, con i suoi nessi e connessi?

Questi e altri interrogativi possono invadere la mente e il cuore, ma anche il corpo e le mani, di chi ha scelto di donarsi al Signore Gesù, facendo del Cristo Risorto il Signore della propria vita e della propria storia.

 La signoria di Cristo non annulla l’umanità e la corporeità di chi si dona a lui. Anzi, richiede l’ascolto equilibrato del proprio corpo e della propria corporeità, nonché l’accoglienza incondizionata di ciò che si è.

L’individuo non è costituito solo dalla parte corporea (estensione fisica e limitata), egli porta con sé anche l’estensione spirituale (anelito d’infinito e slancio verso l’alterità). Di conseguenza, l’individuo non ha un corpo in cui vive da ospite per un periodo determinato, egli è un’esistenza corporea che interagisce in modo creativo e critico con il mondo che lo circonda.

Il corpo è al centro dell’orizzonte d’azione e di pensiero dell’individuo e colloca in un qui. Nello stesso tempo, mette in contatto con ciò che è oltre. L’individuo durante la sua esistenza sa dove è con il suo corpo, ma desidera anche abitare altrove. Dal desiderio di abitare qui e altrove nasce l’inquietudine e la ricerca dell’identità del proprio essere.

 È l’esistenza corporea situata qui ma protesa all’alterità e all’altrove che permette al credente di «farsi» Eucaristia: offerta e rendimento di grazie nel qui-e-ora verso l’altrove.

L’Eucaristia è offerta e dono di sé, non di qualcosa che si ha. È dono libero e gratuito di se stessi e della propria esistenza. Un dono che parte da dentro e interessa tutta l’esistenza, non solo un aspetto o l’esteriorità di un corpo in dotazione.

È l’esistenza corporea, con tutte le sue implicanze, che è invitata dal Cristo a farsi eucaristia: offerta e dono di sé. Le mani, i piedi, il cuore, la mente… sono chiamati a farsi eucaristia non in quanto «pezzi» di un corpo, ma in quanto esistenza che si pone di fronte al mondo con un pensiero amante. È l’esistenza corporea, con il suo intrigato vissuto, ad entrare in relazione dialogica e affettiva con un’altra esistenza corporea, a offrirsi e divenire rendimento di grazie. Non un corpo di fronte a un altro corpo, ma un’esistenza corporea di fronte a un’altra esistenza corporea.

L’ascolto e l’accoglienza del proprio corpo (limiti e risorse, pregi e difetti), poi, e inevitabilmente, si trasformano in offerta. È l’offerta all’altro, concretizzata nel contatto e nell’incontro, che consente di interagire con l’alterità e di sperimentare l’ascolto e l’accoglienza della diversità. L’altro è e rimane sempre diverso da me.

 Nell’offerta all’altro diverso da me, nel contatto e nell’incontro con l’alterità si consente alla propria e altrui corporeità di esistere, di percepirsi, di entrare in relazione. L’offerta, poi, e necessariamente, specie per un consacrato, si trasforma in rendimento di grazie. È la complementarità accolta e la reciprocità donata che fanno crescere e toccare l’infinito che è in sé.

Il corpo diventa Eucaristia nel qui-e-ora del proprio contesto vitale solo quando, superata la scissione dualistica tra l’aspetto corporeo e l’aspetto spirituale, vive l’originaria correlazione corpo-mondo1.

 che non fa sentire di essere un corpo fisico, ma un corpo vivente immerso in quella corrente di desiderio che produce l’azione e fa del corpo non «un» ostacolo da superare, ma «il» veicolo del contatto con il mondo e con la realtà.

  

I discepoli e il corpo di Gesù

 

Il corpo e la corporeità non sono sminuiti nei racconti evangelici. Sono presenti e valorizzati fino al punto che Gesù il Cristo, morto nel corpo e risorto dal suo corpo e con il suo corpo, offre il suo corpo in dono: «questo è il mio corpo che è dato per voi » (Lc 22,19). Fino al punto che, Risorto, si presenta ai discepoli con un corpo, anche se leggero e capace di passare «a porte chiuse» (Gv 20,19.26). Ritorna per incontrare l’incredulo Tommaso e lo invita a entrare nelle sue ferite fisiche e toccare la sua umanità martoriata (cf Gv 20,27).

Gesù non dona il suo corpo solo nell’ultima cena, quando lo consegna ai discepoli e suggerisce di mangiarlo e di farlo «in memoria di me» (ib.).

Tutta l’esistenza terrena di Gesù è contrassegnata dal dono del suo corpo. Un corpo che tutti possono vedere e toccare, e da cui tutti possono ricevere calore e benefici.

 Un episodio evangelico s’impone all’attenzione: l’esperienza della donna che soffre da dieci anni d’emorragia. L’esperienza di questa donna colpisce a tal punto i credenti delle prime comunità cristiane che l’episodio è registrato da tre evangelisti: da Marco e Luca, in maniera estesa e dettagliata (Mc 5,25-34; Lc 8,43-48); da Matteo, in modo succinto e sintetico (Mt 9,20-22). Questa donna – dopo «aver sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio» (Mc 5,26) – prende il coraggio a due mani, si accosta «alle spalle» (Mc 5,27) di Gesù, tocca «il lembo del suo mantello» (Lc 8,44) e pensa «se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita» (Mc 5,28).

Un corpo malato che, nel pensiero e nella fede della donna, può essere guarito con il semplice gesto di approssimarsi alle spalle di Gesù e toccare il lembo del suo mantello.

La donna, raccontano i Vangeli, tocca il lembo del mantello che copre il corpo di Gesù e riceve immediatamente la guarigione del suo corpo. Riceve l’attenzione profonda di Gesù: «chi mi ha toccato il mantello?» (Mc 5,30). La domanda suscita stupore: «vedi la folla che ti stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?» (Mc 5,31). Gli apostoli non comprendono e forse sul loro volto sarà apparso un sorriso per l’inaudita richiesta del Maestro.

Gesù va oltre. Schiacciato dalla folla cerca il corpo che ha sfiorato la sua corporeità. Non si è trattato di un contatto tra corpi, ma dell’incontro di due esistenze: una richiedente e l’altra offerente.

Il contatto tra Gesù e la donna è delicato ed empatico. È intenso. Coniugato al femminile. Attento ai particolari.

È un incontro eucaristico d’offerta e rendimento di grazie che cambia la vita e la storia di quella donna. L’incontro genera, innanzi tutto, un cambiamento nel corpo: la donna ottiene subito la guarigione (cf Mc 5,29). Genera, di conseguenza, un cambiamento profondo nella relazione con l’alterità: la donna esce col suo corpo malato dall’anonimato della folla e tocca Gesù, e poi esce ancora allo scoperto per inginocchiarsi davanti al corpo di Cristo (cf Mc 5,33). Genera, infine, un cambiamento radicale: la donna adesso, con il corpo guarito dalla sua stessa fede, può, come suggerisce Gesù, andare in pace (cf Mc 5,34).

 Tra le righe dei Vangeli traspare una relazione amicale e confidenziale tra Gesù e i suoi discepoli, i quali mostrano un rapporto familiare con il corpo e la corporeità di Gesù. Un discepolo, poi, in un gesto d’intimità profonda poggia, di fronte ai suoi compagni d’avventura, il capo sulla spalla di Gesù. L’emoroissa osa giungere dietro le spalle di Gesù, questo discepolo va oltre e poggia il capo sulla spalla del suo Maestro.

Chi sa quante volte i discepoli, in una di quelle sere stellate d’oriente, seduti stretti attorno a Gesù, hanno sentito il calore e l’odore di quel corpo che si ergeva tra cielo e terra, tra finito e infinito, tra il Padre e i fratelli. E quante volte hanno toccato con semplicità quel corpo di cui un giorno sarebbero divenuti i testimoni privilegiati e avrebbero avuto il compito di spezzarlo, distribuirlo ai credenti, consumarlo con letizia nelle piccole comunità cristiane. E quante volte hanno cercato di carpire il segreto dell’equilibrio di Gesù, il quale sapeva riconoscere la stanchezza e la fame del suo corpo e gli donava il giusto riposo e il giusto ristoro, ma sapeva anche chiedergli il sacrificio dell’offerta e l’abnegazione dell’amore.

E quante volte hanno ammirato Gesù e quel suo modo di amare, scrutare, conoscere in profondità i ritmi e le stagioni del corpo. Quel corpo non negato, ma amato e rispettato profondamente, fino a farlo risorgere nell’amico morto. Non scomodo, ma compagno di viaggio. Non temuto, ma preso in carico. Non pesante, ma leggero. Non estraneo, ma familiare. Quel corpo accettato e vissuto nel dolore della croce e nella gloria della risurrezione.

 Tutta la vita di Gesù è intrisa di atteggiamenti eucaristici: quando s’intrattiene con i bambini, quando scrive per terra, quando si lascia incontrare da Nicodemo di notte, quando trasforma l’acqua in vino, quando stende le mani per guarire, quando con la saliva apre gli occhi al cieco… Ogni gesto coinvolge il suo corpo e la sua corporeità nell’atto dell’offerta.

L’esempio di Gesù conforta il nostro cammino e apre l’orizzonte della corporeità all’incontro libero e profondo con l’alterità. È nell’incontro disponibile e gratuito che il corpo diventa Eucaristia. Si fa offerta. E canta il suo rendimento di grazie.

 Il corpo si fa offerta vivendo l’attenzione alla situazione dell’altro e assumendone la condizione esistenziale in una condivisione profonda. L’offerta si fa compagnia nella gioia e nella sofferenza, nella difesa della dignità e nella lotta contro le ingiustizie. Come l’Eucaristia si fa compagnia dei discepoli di Emmaus.

 Il corpo si fa rendimento di grazie cantando la lode al Creatore attraverso l’amore per ogni creatura. Il grazie si fa festa per l’impegno profuso a favore delle pecorelle svilite dalla fame, dalla violenza, dalla persecuzione. Come l’Eucaristia si fa festa nel cenacolo di Gerusalemme e in ogni agape vissuta da Gesù con gli uomini e le donne del suo tempo.

 Il corpo si fa offerta quando è libero dalla paura dell’incontro. E si fa rendimento di grazie quando è libero dal timore del dono. Allora sì che l’esistenza corporea è capace di donarsi fino al martirio, pur di rimanere fedele alla vocazione all’incontro con l’altro e al dono per l’altro. Pur di essere fedele all’impegno di darsi in cibo per amore.

  

Il corpo terreno di Gesù: la «tenda» della Trinità

 

Il corpo non è solo qualcosa che il Cristo possiede. È il luogo teologico in cui la comunità trinitaria prende dimora e costruisce la sua casa per incontrare l’umanità. Quell’umanità cui Dio «fa spazio» attraverso la creazione e, così, l’universo e l’umanità emergono dalle profondità del suo amore.

La creazione è lo spazio che Dio «fa» per «dare spazio» all’esistenza corporea degli uomini e delle donne, suoi figli e creature. La corporeità dei figli di Dio è assunta dal Figlio di Dio ed è donata nell’Eucaristia.

Nello scambio d’amore tra Creatore e creature, il volto delle creature si fa irradiazione della bontà e disponibilità del Creatore. Al volto umano Dio affida il compito di essere riflesso della sua cordialità e graziosità, di far comprendere il significato della sua grazia. La charis, direbbe Bernhard Häring, è la grazia che addita il volto attraente di Dio2.

. Ed è per mezzo di Cristo e dei suoi discepoli che Dio svela il suo volto all’umanità, un volto accogliente e amoroso che si dona e si spezza senza riserve.

Il corpo nella sua interezza è comunicazione ed è segno di speranza. Consente di volgersi gli uni agli altri e di conoscersi gli uni gli altri. Nella reciprocità delle coscienze. Nella complementarità rispettosa delle differenze. Nell’amicizia vera. Così si giunge a intuire la comunione e la comunicazione con Dio.

Nella propria esistenza corporea l’uomo (donna) è una «parola detta» da Dio con un amore unico. Una parola che in Cristo si fa Eucaristia, pane spezzato e donato per amore. E l’esperienza del Cristo, il «comprarci a caro prezzo» (1Cor 6,20), spinge a «glorificare Dio nel proprio corpo» (ib.).

  

Il corpo parla

 

Il corpo è una comunicazione costante di senso e significati, scopi e obiettivi. Il volto parla e manifesta gioia, affetto, accettazione, rifiuto, ansia, sofferenza, preoccupazione, voglia di stare e voglia di andare… Le braccia si esprimono e possono accogliere o respingere, stringere a sé o allontanare, donare o negare un abbraccio... Le mani comunicano e possono prendere e dare, dividere e unire, incoraggiare e scoraggiare, spingere in avanti e frenare, riposare nelle mani di un altro o dare ad altre mani la possibilità di riposarsi in esse…

Nei libri di Confucio si legge che i doni più preziosi che il Cielo riversa sul saggio sono quattro. La benevolenza: il dire bene e il benedire. La gentilezza: la cordialità e l’amabilità. La giustizia: la rettitudine e l’equità. La prudenza: la riflessione e il controllo. Questi doni affondano le radici nel cuore. Sono rivelati nel portamento delle spalle. Interessano le membra del corpo, in particolare le mani. I loro effetti risplendono sul volto.

Le mani non servono solo a maneggiare e manipolare le cose. Esse fanno essere narrando vissuti.

 Chi sceglie di seguire il Cristo sa di non poter più tenere le mani in tasca, nascondendole di fronte all’impegno e alle responsabilità. Le sue mani sono chiamate a divenire accoglienza e incontro, consolazione e sostegno, guarigione e servizio. Le sue mani sono offerte come quelle di Cristo sulla croce. Sono offerte alla vita, ogni vita e tutta la vita: quella che nasce, che cresce, che muore. Le sue mani devono saper custodire quelle dell’altro, Comunicare confidenza e fiducia. Spezzare la Parola. Far sentire l’amore palpitante del Padre e la comunione dei fratelli. Riconciliare con la propria storia e con la storia dei fratelli…

Le mani richiamano i piedi, quei piedi che calpestano il luogo sacro in cui Dio ha posto la sua tenda. I piedi per un consacrato sono molto più che un semplice strumento per camminare. Essi servono a mettersi «nelle scarpe degli altri» e vivere una vita empaticamente in sintonia con la storia e i vissuti degli altri.

Il corpo è soggetto dei sensi: fa toccare, vedere, ascoltare, odorare, gustare. Ma soprattutto integra e armonizza tutte le azioni e le passioni umane. È il luogo d’incontro dei vissuti. Lo spazio in cui mi comprendo, mi conosco, mi riconosco. In cui esisto e mi confronto con l’altro.

È con il corpo che si vive l’avventura del nascere e del morire: della prima separazione che consente di «venire» al mondo e dell’ultima che fa «andare» da questo mondo. È con il corpo che si esperimenta la crescita e il divenire, l’incontro e l’amore, il consumarsi e il decadere.

L’eucaristia è la parola del corpo nel suo nutrirsi: una parola che fa dell’uomo e della donna e della loro storia una realizzazione dell’amore filiale e fraterno.

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