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Nell’anno 1990 P. Luis Alonso
Schökel, maestro di generazioni di biblisti, pubblicò un bellissimo
libro in spagnolo intitolato El Cantar de los Cantares o La dignidad del
amor1
Oltre a una
traduzione del testo ebraico e un originale commento tematico, il libro
contiene delle bellissime illustrazioni tardo gotiche tratte da una
Historia et prophetia vitae Beatae Mariae Virginis ex Canticu Canticorum,
probabilmente realizzate in un monastero fiammingo verso 1465-1470. Sul
tema «Corpo e spirito», scrive il rimpianto biblista e poeta: «L’amore
del Cantico non è un amore platonico, tra due spiriti puri o che si
purificano staccandosi dal corpo. Non si tratta neanche di un appetito
carnale. L’amore del Cantico ha un intenso realismo corporeo, perché nel
corpo si rivela lo spirito. La Genesi parla di formare una sola carne.
Or bene, nell’unione della carne si deve realizzare l’unione degli
spiriti. Le due cose sono ben chiare nel Cantico»2.
La contemplazione del corpo
umano, bello e piacevole, ci porta alla contemplazione della Bellezza
con maiuscola, quella Bellezza di natura spirituale che purtroppo la
nostra società odierna pare di non voler riconoscere. La contemplazione
del corpo degli amanti apre i nostri sensi alla profonda dimensione
teologica e spirituale del Cantico: «Proprio perché non è religioso nel
senso che gli davano le culture del tempo, l’amore sessuale è buono,
bello e portatore di piacere; ed è appunto in questo che appare un
progresso teologico importante; […] il compito del Cantico è di rifar
vivo la meraviglia che è il mondo, dove tute le cose sono viste nella
loro segreta bellezza»3.
L’oblio del
corpo e il Cantico
Per molto tempo la nostra
cultura è stata dominata dalla separazione tra il corpo e l’anima, tra
la materia e lo spirito. Il grande limite del dualismo consiste infatti
nella profonda scissione interna dell’essere umano che sarebbe composto
di un corpo, quella parte meno nobile dove abitano gli istinti e le
passioni, e un’anima, l’unica garante del sapere e della verità, che gli
conferisce la dignità spirituale del suo essere. Questa opposizione
dualistica di matrice platonica ha generato un oblio del corpo che ha
influito enormemente e a diversi livelli non soltanto nella società e
nella Chiesa, ma anche nel modo di avvicinarci alla Bibbia. Tra i libri
biblici, il Cantico ha sofferto in maniera particolare di questo
dualismo senza uscita.
Se nel passato, sia tra gli
autori cristiani che tra i giudei, si era imposta la lettura allegorica
del Cantico (impegnata nel ricercare il significato di ogni parola, di
ogni personaggio, e soprattutto della loro ricerca amorosa)4;
l’esegesi attuale, a ragione, preferisce la lettura letterale del testo.
Il Cantico va considerato ora come una composizione poetica che canta
l’amore tra un uomo e una donna e di solito va interpretato come tale,
con tutta la bellezza, il mistero e l’erotismo che questa esperienza
umana universale racchiude in sé. Per esprimerci con le parole di Alonso
Schökel, il Cantico è «un canto all’amore, con qualcosa d’innocenza
originaria, paradisiaca e molto di sogno ideale, definitivo»5.
La descrizione del corpo
A differenza degli altri libri
della Bibbia, il Cantico si distingue dalle sue descrizioni del corpo
umano, specialmente del corpo femminile. Accanto all’unica descrizione
del corpo dell’amato (5,9-16) fatta da lei, ci sono tre canti in cui il
corpo dell’amata viene descritto da lui (4,1-7; 6,4-12 e 7,1-10). La
descrizione può cominciare dal capo e finire ai piedi (4,1-7; 5,9-16;
6,4-12) o anche alla rovescia (7,1-10); può essere totale (5,9-16;
7,1-10) o parziale (4,1-7; 6,4-12). Perfino, si possono trovare alcuni
versetti sparsi qua e là che contengono riferimenti al corpo di lei
(1,9-10.15; 2,1.14) e di lui (1,13-14.16; 2,3.9) ecc…
Questi testi infatti sono di
solito considerati tecnicamente come dei wasf, cioè un genere di poesia
amorosa araba che con un linguaggio metaforico e in maniera sistematica
descrivono il corpo dell’amata o dell’amato nelle singole membra. Come
vedremo più avanti, le immagini di queste composizioni poetiche sono
prese in genere dalla natura e dal mondo umano. Si tratta soprattutto di
immagini di ordine visivo, benché alcune si richiamino anche ad altri
sensi come l’olfatto o il tatto.
I riferimenti immaginativi usati
in questi poemi spesso urtano la nostra sensibilità occidentale e in
certe occasioni perfino li percepiamo come bizzarri o grotteschi.
Dobbiamo però tener conto che questi riferimenti sono condizionati dalle
tradizioni letterarie autoctone e anche da fenomeni come la geografia,
il clima, la fauna, la flora, la cultura rurale, i mezzi di produzione…
Paragonare le chiome dell’amata con un gregge di capre (4,1; 6,5), il
suo collo con la torre di Davide (4,4) o il suo naso con la torre del
Libano non solo risulta estravagante dal punto di vista dei nostri
modelli referenziali, ma diventa un ostacolo per cogliere la bellezza e
la carica significativa delle immagini.
Per gli Israeliti di quel tempo
invece queste immagini erano espressioni di lode del tutto normali che
non richiedevano nessuno sforzo di comprensione. Soltanto così si spiega
la sua popolarità e che l’autore le abbia inserite in questi poemi di
amore.
Le metafore utilizzate nel wasf
possono essere intese in due maniere diverse, in senso «descrittivo»
(rappresentativo) o «evocativo» (presentativo). Facciamo un esempio,
«gli occhi tuoi sono colombe» (4,1). Qui ci sono due realtà molto
diverse l’una dall’altra che però condividono un elemento comune. In
questo caso qualcosa relativo alla colomba (il termine di confronto) è
attribuito agli occhi dell’amata (il referente). Si può pensare alla
gentilezza dell’uccello/dell’amata o al movimento delle ali
dell’uccello/delle palpebre dell’amata. Qualunque sia l’interpretazione,
la metafora funziona perché è facile da scoprire: c’è una qualche
somiglianza fisica tra l’uccello e l’amata. In questa metafora la
relazione tra il referente e il termine di confronto è descrittiva o di
rappresentazione: la gentilezza della colomba o il movimento delle sue
ali rappresentano gli occhi dell’amata.
Cerchiamo adesso di capire la
metafora in un altro modo, cioè stabilendo tra il termine di confronto e
il referente un rapporto non di «rappresentazione» ma di
«presentazione». In questo caso l’associazione tra le idee si basa su
una reazione emotiva più che su una somiglianza fisica, come abbiamo
visto nel caso precedente. In altre parole, il poeta non vuole tanto
rappresentare la bellezza fisica dell’amata quanto riprodurre la
reazione emotiva che il suo fascino provoca. Da questa prospettiva, «gli
occhi tuoi sono colombe» provoca una emozione precisa, a seconda del
modo con cui s’intenda il significato della metafora. «Se esso denota la
grazia dell’uccello, può ingenerare un senso di dolce quiete. Se il
riferimento è alle ali/palpebre svolazzanti, si suscita un’eccitazione
allettante. Il wasf molto probabilmente è derivato dall’esperienza del
forte fascino fisico di una persona ed è servito come strumento adatto a
suscitare simili emozioni in un tempo successivo. In effetti, il wasf va
inteso in ambedue i sensi, quello rappresentativo e quello presentativo»6.
Il
corpo di lei
Dei tre canti sul corpo
dell’amata, abbiamo scelto il primo (4,1-7). Così lo introduce E.
Bosetti nel suo recente commento: «Attorno al baldacchino nuziale scende
il silenzio e i due, ormai soli, possono lasciarsi andare allo stupore
del corpo. Sguardo limpido e puro, godimento estatico. L’immaginazione
continua. Salomone, il sapiente, alias l’innamorato, canta con occhi
pieni di stupore la bellezza della sua donna»7:
1. Come sei bella,
amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono un gregge
di capre,
che scendono dalle pendici
del Gàlaad.
2. I tuoi denti come
un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte procedono appaiate,
e nessuna è senza compagna.
3. Come un nastro di
porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di
grazia;
come spicchio di melagrana la
tua gota
attraverso il tuo velo.
4. Come la torre di
Davide il tuo collo,
costruita a guisa di
fortezza.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di prodi.
5. I tuoi seni
sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
6. Prima che spiri la
brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò al monte della
mirra
e alla collina dell'incenso.
7. Tutta bella tu sei,
amica mia,
in te nessuna macchia.
Il cantico è incorniciato da due
esclamazioni che esaltano la bellezza dell’amata (vv. 1 e 7, cf 1,15) e
allo stesso tempo ci danno la chiave interpretativa di tutta la
descrizione. Non si tratta di una descrizione statica di forme
geometriche (forma degli occhi, lunghezza del collo…), ma «del segreto
del fascino dell’amata espresso nel linguaggio dell’intimità e
dell’unicità. La sua bellezza impone, senza lacci avvince»8.
All’inizio del canto l’autore riprende una immagine già apparsa in 1,15
(«I tuoi occhi sono colombe»), però questa volta aggiunge un
particolare: «dietro il tuo velo», benché non sappiamo di quale tipo di
velo stia parlando (cf v. 3).
Alcuni autori pensano al velo
che copriva tutto il capo (però l’amato descrive in seguito le chiome
dell’amata!). Altri preferiscono vedere il velo nuziale (non ci sono
però altri indizi in favore di questa spiegazione). E c’è ancora chi
ritiene che questo sia un velo che copre quasi l’intero volto, lasciando
visibili gli occhi. Qual è però la funzione del velo? Nascondere o
sedurre? o forse tutte due le cose insieme, nascondere un po’ per
sedurre di più? Se seguiamo la terza interpretazione, il velo allora
accentua la misteriosità degli occhi dell’amata e li rende ancora più
attraenti: «occhi dardeggianti, messaggeri d’amore»9.
I capelli dell’amata, folti e
neri, sono paragonati a un gregge di capre che scendono dalle pendici di
un monte, cioè dal capo sul collo e sulle spalle, il cui movimento
ondeggiante crea un forte senso di eccitazione. All’immagine di un
gregge di pecore segue quella di un gregge di pecore appena lavate in
vista della tosatura. Le file di denti bianchi e compatti che la donna
mostra quando sorride assomigliano a queste pecore di pura lana bianca
che si muovono ordinatamente due a due (v. 2).
Dopo aver descritto gli occhi,
le chiome e i denti dell’amata con immagini di animali prese da un
ambiente pastorale, l’autore passa ad esaltare la bellezza della sua
bocca (v. 3). Questa è graziosa, le sue labbra sono sottili come un filo
di scarlatto (cf 2Sam 1,24) e le sue guance hanno un colore rossastro
come spicchi di melagrana. Benché non abbiamo parlato di guance (la
Bibbia della CEI traduce «gota»), il termine ebraico può indicare la
guancia, la fronte o il palato della bocca aperta. Qualunque sia la
traduzione, l’immagine punta sul colore rosso, un colore senz’altro
seducente, che si intravede dietro il velo. Quindi, forse sarebbe da
immaginare un velo trasparente che, insinuando il volto della donna, lo
rende ancora più attrattivo.
Al v. 4 il collo della donna,
ornato di collane di gioielli, evoca la torre di Davide con i suoi
trofei («mille scudi, armature di prodi»). Se prima esso era stato
paragonato a una cavalla del cocchio del faraone (1,9-10) adesso il
termine di confronto è una torre munita di fortificazioni militari
(«costruita a guisa di fortezza»). Più che la lunghezza del collo, come
ritengono alcuni autori, pensiamo che con questa immagine, senz’altro
difficile da decodificare, l’autore voglia esaltare non soltanto
l’aspetto splendido e signorile della donna, ma anche «il timore che si
prova di fronte a questa magnificenza10.
Riappare al v. 5 l’ambiente
pastorale e i seni dell’amata che sono paragonati a due cerbiatti
gemelli di una gazzella. «Cerbiatti» evoca un corpo giovane, «gemelli»
indica simmetria, e la «gazzella» è un animale che si distingue per la
sua grazia e bellezza. Con questa metafora, l’autore sta lodando la
solidità, la tenerezza e l’armonia dei seni della donna. Con il
ritornello «che pascolano fra i gigli (o fior di lotus)» riferito questa
volta ai cerbiatti (cf 2,16; 6,3), si aggiunge una connotazione in più
alla metafora precedente: i suoi seni sono anche profumati. Si tratta di
una lode in crescendo che accende il desiderio dell’unione amorosa dei
due giovani: «Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le
ombre, me ne andrò al monte della mirra e alla collina dell'incenso»,
dice lui. Una unione desiderata, però non ancora compiuta. In realtà,
questo wasf è un canto di desiderio che termina come era iniziato,
affermando la bellezza eccezionale della donna amata: «Tutta bella tu
sei, amica mia, in te nessuna macchia» (v. 7).
Il corpo di lei, il corpo di lui, l’altro
Seguendo le tracce dell’amato
nel cantico che abbiamo presentato, anch’io concluderò queste pagine
come le ho incominciate, citando le parole di un maestro che ha saputo
andare al di là delle parole, che ha tentato di scoprire quello che esse
non riescono a dire, che ha indovinato quali sono i sentieri misteriosi
dell’amore: «Benché il corpo reclami tanto spazio, benché l’espressione
diretta dei sentimenti sia limitata, quello che è decisivo in questo
libro [nel Cantico] è lo spirito che afferma la sua realtà nei pronomi
personali: lui e lei, tu ed io; e i possessivi di appartenenza mutua:
sua, mio. E la frase decisiva: ‘Io sono per il mio amato e il mio amato
è per me’»11.
Nel Cantico ci sono molti
elementi significativi: monti, colline, valli, giardini, fontane,
alberi, fiori, frutti, animali, torri, case, porte, finestre, odori,
sapori, altre comparse… però lo scenario in pratica lo occupano soltanto
due persone senza nome: i due amanti. I due amanti e il loro amore. Due
persone unite nel corpo e nello spirito.
Spero che la lettura del Cantico
ci aiuti a non avere paura del nostro corpo e della sua bellezza, perché
nell’antropologia biblica il corpo è la persona stessa, vista nella sua
relazione con l’altro. Mi si permetta, infine, di fare un salto dalla
Bibbia alla filosofia per illustrare lo stretto rapporto che c’è tra il
corpo e l’altro, o se vogliamo, tra corporeità e alterità. Ogni mio
incontro con l’altro diventa possibile grazie al corpo che io sono: è
grazie al mio corpo che io posso farmi visibile all’altro e l’altro può
farsi visibile a me, è grazie al mio corpo che io posso entrare in
contatto con le cose che mi circondano.
«Il corpo è enigmatico, esso è
parte del mondo, senza dubbio, ma stranamente offerta, come suo proprio
habitat, a un desiderio assoluto di avvicinare l’altro e di raggiungerlo
anche nel suo corpo, animato e animante, figura naturale dello spirito»12.
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