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n. 1 del 2003

 

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Il corpo nel cantico dei cantici
di Nuria Calduch-Benages
 

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 Nell’anno 1990 P. Luis Alonso Schökel, maestro di generazioni di biblisti, pubblicò un bellissimo libro in spagnolo intitolato El Cantar de los Cantares o La dignidad del amor1

Oltre a una traduzione del testo ebraico e un originale commento tematico, il libro contiene delle bellissime illustrazioni tardo gotiche tratte da una Historia et prophetia vitae Beatae Mariae Virginis ex Canticu Canticorum, probabilmente realizzate in un monastero fiammingo verso 1465-1470. Sul tema «Corpo e spirito», scrive il rimpianto biblista e poeta: «L’amore del Cantico non è un amore platonico, tra due spiriti puri o che si purificano staccandosi dal corpo. Non si tratta neanche di un appetito carnale. L’amore del Cantico ha un intenso realismo corporeo, perché nel corpo si rivela lo spirito. La Genesi parla di formare una sola carne. Or bene, nell’unione della carne si deve realizzare l’unione degli spiriti. Le due cose sono ben chiare nel Cantico»2.

La contemplazione del corpo umano, bello e piacevole, ci porta alla contemplazione della Bellezza con maiuscola, quella Bellezza di natura spirituale che purtroppo la nostra società odierna pare di non voler riconoscere. La contemplazione del corpo degli amanti apre i nostri sensi alla profonda dimensione teologica e spirituale del Cantico: «Proprio perché non è religioso nel senso che gli davano le culture del tempo, l’amore sessuale è buono, bello e portatore di piacere; ed è appunto in questo che appare un progresso teologico importante; […] il compito del Cantico è di rifar vivo la meraviglia che è il mondo, dove tute le cose sono viste nella loro segreta bellezza»3.

 

L’oblio del corpo e il Cantico

 Per molto tempo la nostra cultura è stata dominata dalla separazione tra il corpo e l’anima, tra la materia e lo spirito. Il grande limite del dualismo consiste infatti nella profonda scissione interna dell’essere umano che sarebbe composto di un corpo, quella parte meno nobile dove abitano gli istinti e le passioni, e un’anima, l’unica garante del sapere e della verità, che gli conferisce la dignità spirituale del suo essere. Questa opposizione dualistica di matrice platonica ha generato un oblio del corpo che ha influito enormemente e a diversi livelli non soltanto nella società e nella Chiesa, ma anche nel modo di avvicinarci alla Bibbia. Tra i libri biblici, il Cantico ha sofferto in maniera particolare di questo dualismo senza uscita.

Se nel passato, sia tra gli autori cristiani che tra i giudei, si era imposta la lettura allegorica del Cantico (impegnata nel ricercare il significato di ogni parola, di ogni personaggio, e soprattutto della loro ricerca amorosa)4; l’esegesi attuale, a ragione, preferisce la lettura letterale del testo. Il Cantico va considerato ora come una composizione poetica che canta l’amore tra un uomo e una donna e di solito va interpretato come tale, con tutta la bellezza, il mistero e l’erotismo che questa esperienza umana universale racchiude in sé. Per esprimerci con le parole di Alonso Schökel, il Cantico è «un canto all’amore, con qualcosa d’innocenza originaria, paradisiaca e molto di sogno ideale, definitivo»5.

  

La descrizione del corpo

 A differenza degli altri libri della Bibbia, il Cantico si distingue dalle sue descrizioni del corpo umano, specialmente del corpo femminile. Accanto all’unica descrizione del corpo dell’amato (5,9-16) fatta da lei, ci sono tre canti in cui il corpo dell’amata viene descritto da lui (4,1-7; 6,4-12 e 7,1-10). La descrizione può cominciare dal capo e finire ai piedi (4,1-7; 5,9-16; 6,4-12) o anche alla rovescia (7,1-10); può essere totale (5,9-16; 7,1-10) o parziale (4,1-7; 6,4-12). Perfino, si possono trovare alcuni versetti sparsi qua e là che contengono riferimenti al corpo di lei (1,9-10.15; 2,1.14) e di lui (1,13-14.16; 2,3.9) ecc…

Questi testi infatti sono di solito considerati tecnicamente come dei wasf, cioè un genere di poesia amorosa araba che con un linguaggio metaforico e in maniera sistematica descrivono il corpo dell’amata o dell’amato nelle singole membra. Come vedremo più avanti, le immagini di queste composizioni poetiche sono prese in genere dalla natura e dal mondo umano. Si tratta soprattutto di immagini di ordine visivo, benché alcune si richiamino anche ad altri sensi come l’olfatto o il tatto.

I riferimenti immaginativi usati in questi poemi spesso urtano la nostra sensibilità occidentale e in certe occasioni perfino li percepiamo come bizzarri o grotteschi. Dobbiamo però tener conto che questi riferimenti sono condizionati dalle tradizioni letterarie autoctone e anche da fenomeni come la geografia, il clima, la fauna, la flora, la cultura rurale, i mezzi di produzione… Paragonare le chiome dell’amata con un gregge di capre (4,1; 6,5), il suo collo con la torre di Davide (4,4) o il suo naso con la torre del Libano non solo risulta estravagante dal punto di vista dei nostri modelli referenziali, ma diventa un ostacolo per cogliere la bellezza e la carica significativa delle immagini.

Per gli Israeliti di quel tempo invece queste immagini erano espressioni di lode del tutto normali che non richiedevano nessuno sforzo di comprensione. Soltanto così si spiega la sua popolarità e che l’autore le abbia inserite in questi poemi di amore.

 Le metafore utilizzate nel wasf possono essere intese in due maniere diverse, in senso «descrittivo» (rappresentativo) o «evocativo» (presentativo). Facciamo un esempio, «gli occhi tuoi sono colombe» (4,1). Qui ci sono due realtà molto diverse l’una dall’altra che però condividono un elemento comune. In questo caso qualcosa relativo alla colomba (il termine di confronto) è attribuito agli occhi dell’amata (il referente). Si può pensare alla gentilezza dell’uccello/dell’amata o al movimento delle ali dell’uccello/delle palpebre dell’amata. Qualunque sia l’interpretazione, la metafora funziona perché è facile da scoprire: c’è una qualche somiglianza fisica tra l’uccello e l’amata. In questa metafora la relazione tra il referente e il termine di confronto è descrittiva o di rappresentazione: la gentilezza della colomba o il movimento delle sue ali rappresentano gli occhi dell’amata.

Cerchiamo adesso di capire la metafora in un altro modo, cioè stabilendo tra il termine di confronto e il referente un rapporto non di «rappresentazione» ma di «presentazione». In questo caso l’associazione tra le idee si basa su una reazione emotiva più che su una somiglianza fisica, come abbiamo visto nel caso precedente. In altre parole, il poeta non vuole tanto rappresentare la bellezza fisica dell’amata quanto riprodurre la reazione emotiva che il suo fascino provoca. Da questa prospettiva, «gli occhi tuoi sono colombe» provoca una emozione precisa, a seconda del modo con cui s’intenda il significato della metafora. «Se esso denota la grazia dell’uccello, può ingenerare un senso di dolce quiete. Se il riferimento è alle ali/palpebre svolazzanti, si suscita un’eccitazione allettante. Il wasf molto probabilmente è derivato dall’esperienza del forte fascino fisico di una persona ed è servito come strumento adatto a suscitare simili emozioni in un tempo successivo. In effetti, il wasf va inteso in ambedue i sensi, quello rappresentativo e quello presentativo»6.

 

 Il corpo di lei

 

Dei tre canti sul corpo dell’amata, abbiamo scelto il primo (4,1-7). Così lo introduce E. Bosetti nel suo recente commento: «Attorno al baldacchino nuziale scende il silenzio e i due, ormai soli, possono lasciarsi andare allo stupore del corpo. Sguardo limpido e puro, godimento estatico. L’immaginazione continua. Salomone, il sapiente, alias l’innamorato, canta con occhi pieni di stupore la bellezza della sua donna»7:

 

1. Come sei bella, amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono un gregge di capre,
che scendono dalle pendici del Gàlaad.

2. I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte procedono appaiate,
e nessuna è senza compagna.

3. Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia;
come spicchio di melagrana la tua gota
attraverso il tuo velo.

4. Come la torre di Davide il tuo collo,
costruita a guisa di fortezza.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di prodi.

5. I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli. 

6. Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò al monte della mirra
e alla collina dell'incenso.

 

7. Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.

 

Il cantico è incorniciato da due esclamazioni che esaltano la bellezza dell’amata (vv. 1 e 7, cf 1,15) e allo stesso tempo ci danno la chiave interpretativa di tutta la descrizione. Non si tratta di una descrizione statica di forme geometriche (forma degli occhi, lunghezza del collo…), ma «del segreto del fascino dell’amata espresso nel linguaggio dell’intimità e dell’unicità. La sua bellezza impone, senza lacci avvince»8. All’inizio del canto l’autore riprende una immagine già apparsa in 1,15 («I tuoi occhi sono colombe»), però questa volta aggiunge un particolare: «dietro il tuo velo», benché non sappiamo di quale tipo di velo stia parlando (cf v. 3).

Alcuni autori pensano al velo che copriva tutto il capo (però l’amato descrive in seguito le chiome dell’amata!). Altri preferiscono vedere il velo nuziale (non ci sono però altri indizi in favore di questa spiegazione). E c’è ancora chi ritiene che questo sia un velo che copre quasi l’intero volto, lasciando visibili gli occhi. Qual è però la funzione del velo? Nascondere o sedurre? o forse tutte due le cose insieme, nascondere un po’ per sedurre di più? Se seguiamo la terza interpretazione, il velo allora accentua la misteriosità degli occhi dell’amata e li rende ancora più attraenti: «occhi dardeggianti, messaggeri d’amore»9.

I capelli dell’amata, folti e neri, sono paragonati a un gregge di capre che scendono dalle pendici di un monte, cioè dal capo sul collo e sulle spalle, il cui movimento ondeggiante crea un forte senso di eccitazione. All’immagine di un gregge di pecore segue quella di un gregge di pecore appena lavate in vista della tosatura. Le file di denti bianchi e compatti che la donna mostra quando sorride assomigliano a queste pecore di pura lana bianca che si muovono ordinatamente due a due (v. 2).

Dopo aver descritto gli occhi, le chiome e i denti dell’amata con immagini di animali prese da un ambiente pastorale, l’autore passa ad esaltare la bellezza della sua bocca (v. 3). Questa è graziosa, le sue labbra sono sottili come un filo di scarlatto (cf 2Sam 1,24) e le sue guance hanno un colore rossastro come spicchi di melagrana. Benché non abbiamo parlato di guance (la Bibbia della CEI traduce «gota»), il termine ebraico può indicare la guancia, la fronte o il palato della bocca aperta. Qualunque sia la traduzione, l’immagine punta sul colore rosso, un colore senz’altro seducente, che si intravede dietro il velo. Quindi, forse sarebbe da immaginare un velo trasparente che, insinuando il volto della donna, lo rende ancora più attrattivo.

Al v. 4 il collo della donna, ornato di collane di gioielli, evoca la torre di Davide con i suoi trofei («mille scudi, armature di prodi»). Se prima esso era stato paragonato a una cavalla del cocchio del faraone (1,9-10) adesso il termine di confronto è una torre munita di fortificazioni militari («costruita a guisa di fortezza»). Più che la lunghezza del collo, come ritengono alcuni autori, pensiamo che con questa immagine, senz’altro difficile da decodificare, l’autore voglia esaltare non soltanto l’aspetto splendido e signorile della donna, ma anche «il timore che si prova di fronte a questa magnificenza10.

Riappare al v. 5 l’ambiente pastorale e i seni dell’amata che sono paragonati a due cerbiatti gemelli di una gazzella. «Cerbiatti» evoca un corpo giovane, «gemelli» indica simmetria, e la «gazzella» è un animale che si distingue per la sua grazia e bellezza. Con questa metafora, l’autore sta lodando la solidità, la tenerezza e l’armonia dei seni della donna. Con il ritornello «che pascolano fra i gigli (o fior di lotus)» riferito questa volta ai cerbiatti (cf 2,16; 6,3), si aggiunge una connotazione in più alla metafora precedente: i suoi seni sono anche profumati. Si tratta di una lode in crescendo che accende il desiderio dell’unione amorosa dei due giovani: «Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, me ne andrò al monte della mirra e alla collina dell'incenso», dice lui. Una unione desiderata, però non ancora compiuta. In realtà, questo wasf è un canto di desiderio che termina come era iniziato, affermando la bellezza eccezionale della donna amata: «Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia» (v. 7).

 

Il corpo di lei, il corpo di lui, l’altro

 Seguendo le tracce dell’amato nel cantico che abbiamo presentato, anch’io concluderò queste pagine come le ho incominciate, citando le parole di un maestro che ha saputo andare al di là delle parole, che ha tentato di scoprire quello che esse non riescono a dire, che ha indovinato quali sono i sentieri misteriosi dell’amore: «Benché il corpo reclami tanto spazio, benché l’espressione diretta dei sentimenti sia limitata, quello che è decisivo in questo libro [nel Cantico] è lo spirito che afferma la sua realtà nei pronomi personali: lui e lei, tu ed io; e i possessivi di appartenenza mutua: sua, mio. E la frase decisiva: ‘Io sono per il mio amato e il mio amato è per me’»11.

Nel Cantico ci sono molti elementi significativi: monti, colline, valli, giardini, fontane, alberi, fiori, frutti, animali, torri, case, porte, finestre, odori, sapori, altre comparse… però lo scenario in pratica lo occupano soltanto due persone senza nome: i due amanti. I due amanti e il loro amore. Due persone unite nel corpo e nello spirito.

Spero che la lettura del Cantico ci aiuti a non avere paura del nostro corpo e della sua bellezza, perché nell’antropologia biblica il corpo è la persona stessa, vista nella sua relazione con l’altro. Mi si permetta, infine, di fare un salto dalla Bibbia alla filosofia per illustrare lo stretto rapporto che c’è tra il corpo e l’altro, o se vogliamo, tra corporeità e alterità. Ogni mio incontro con l’altro diventa possibile grazie al corpo che io sono: è grazie al mio corpo che io posso farmi visibile all’altro e l’altro può farsi visibile a me, è grazie al mio corpo che io posso entrare in contatto con le cose che mi circondano.

«Il corpo è enigmatico, esso è parte del mondo, senza dubbio, ma stranamente offerta, come suo proprio habitat, a un desiderio assoluto di avvicinare l’altro e di raggiungerlo anche nel suo corpo, animato e animante, figura naturale dello spirito»12.

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