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È
proprio vero che dall’11 settembre 2001 «nulla è più come prima»?
Ritengo questa frase una provocazione. Perché?
Certo,
l’equilibrio nel mondo è completamente sconvolto e le conseguenze sul
piano economico, politico e religioso sono innegabili. Tuttavia, una
risposta più profonda, più fondamentale emerge dalla nostra fede in
Cristo.
Ricordo
a questo proposito un incontro di preghiera svoltosi durante l’Anno
mariano del 1987 nel tempo di Pasqua. Le fraternità servitane di Roma
erano state convocate presso la curia generalizia delle Mantellate Serve
di Maria all’Eur, per celebrare insieme il Regina coeli, e così
sperimentare il rinnovato pio esercizio redatto dalla Commissione
Liturgica Internazionale dell’Ordine dei Servi di Maria. La parte
centrale del formulario offriva agli oranti una coinvolgente
sequenza-dialogo tra la Vergine Maria, le Figlie di Gerusalemme e il
Coro, il cui filo conduttore procedeva seguendo la fede di Maria nel
mistero di Cristo risorto.1
Quando
sento pronunciare la frase «nulla è più come prima», mi fiorisce in
cuore soprattutto il canto gioioso del Coro di quel lontano giorno: «Alleluia!
Nulla è più come prima!». Sì! Solo Cristo risorto segna per il
credente il prima e il dopo del tempo. Solo su Cristo risorto si fonda
la certezza della nostra speranza e della nostra totale liberazione.
Solo dall’avvenimento della Pasqua «nulla è più come prima», perché
anche se il male trova virulenti espressioni criminali contro Dio e
contro la vita, la potenza salvifica del redentore ha segnato per sempre
la storia del mondo.
Gesù
è realmente la nostra speranza, esclama Paolo (1Tm
1,1). Solo la risurrezione di Cristo, vittoria definitiva della vita
sulla morte, del bene sul male, dilata il cuore per una speranza vera
che dà significato nuovo a tutta l’esistenza. Lì si radica
l’ottimismo cristiano. Lì soltanto è possibile trovare una risposta
ai drammatici interrogativi che la presenza dilagante del male, nel
mondo di oggi come in quello di ieri, pone alla coscienza di ogni
persona. Lì trova significato la Chiesa quale comunità di speranza. Il
credente può far sua l’espressione che la sequenza Victimae
paschali laudes pone sulla
bocca di Maria Maddalena: «È risorto Cristo, mia speranza». Gesù
risorto è veramente il «Principio-Speranza» della Chiesa e del mondo
intero.2
Nell’ampia
visione teologica, dove Cristo è sole di giustizia (cf Ml
3,20) e nostra speranza (cf 1Tm
1,1), trova giusta collocazione l’argomento su cui ora vogliamo
riflettere.
Discorrere
sui molteplici aspetti del rapporto «Maria e la speranza» rimane
arduo.3
Qui vogliamo privilegiare quello che i cultori di mariologia indicano
con l’espressione: «La Vergine fondamento di speranza». Il noto
liturgista Ignazio Calabuig precisa al riguardo che in esso
s’intrecciano due elementi collegati tra loro: la «realtà di grazia»
e la «missione» che Maria esercita in favore del popolo di Dio. Questi
due fattori costituiscono una garanzia nel conseguire la meta ultima
della nostra speranza4.
Dopo Cristo, a causa di lui e con lui, l’essere di Maria, posto sotto
il segno dell’amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, è
motivo e «segno di sicura speranza» (LG
68) per tutta la comunità ecclesiale nel suo cammino verso l’eschaton.
Maria
di Nazaret aurora e motivo di speranza
La
riflessione e l’esperienza cristiana hanno interpretato la Concezione
immacolata di Maria e la sua Natività in chiave di «aurora della
speranza». Il primo dato che gli studiosi offrono al riguardo è che
Maria di Nazaret, avendo preceduto secondo il sapiente disegno di Dio la
venuta di Cristo, giustamente viene salutata dal popolo cristiano aurora
del giorno di Cristo (cf 2Pt 1,19), stella del mattino che annuncia il vero sole di giustizia
(cf Ml 3,20), alba radiosa
della speranza piena. Essi tuttavia precisano che nulla si può
affermare di Maria quale aurora, o stella del mattino, oppure alba
soffusa di speranza, se non in dipendenza e in relazione con la persona
divina di Cristo e con la sua missione di Agnello redentore.
La Concezione immacolata di Maria aurora della speranza
La
Concezione immacolata di Maria, anticipazione e primizia
dell’efficacia salvifica della Pasqua, è vista dalla tradizione
ecclesiale come la prima espressione di libertà dalle catene del
peccato, di vittoria su satana oppressore del genere umano, motivo
quindi di speranza per una umanità che era immersa «nelle tenebre e
nell’ombra della morte» (Lc
1,79).
Creatura
privilegiata, ma sorella nostra, del tutto esente dalla macchia
originale, Maria immacolata accende la speranza del popolo di Dio in
cammino verso una condizione in cui tutto sarà «senza macchia né ruga
o alcunché di simile» (Ef 5,27). Pio X nell’enciclica Ad
diem illum (11 febbraio 1904) sintetizza bene l’esperienza della
Chiesa quando afferma che la contemplazione dell’Immacolata rafforza
la fede e rianima la speranza.5
Oppure quando stabilisce una connessione tra la Concezione immacolata,
la Maternità divina e la nostra speranza: Maria fu immacolata in vista
di essere Madre di Cristo, fu tale perché nel suo Figlio rivivesse in
noi la speranza dei beni eterni, cioè dei beni futuri, definitivi, di
cui Gesù è sommo sacerdote (cf Eb 9,11), beni non soggetti né a
perdita né a caducità.
Per
la liturgia, la solennità dell’8 dicembre è una festa di speranza.
Nell’Inno Praeclára custos virginum
dei I Vespri la Vergine viene salutata come «speranza nostra».6
L’ignoto autore (sec. XVII) non fa altro che testimoniare un’antica
esperienza ecclesiale, molto diffusa in Occidente a motivo della
popolare antifona Salve, Regina,
mater miseriordiae, in cui figura, densa e apportatrice di sollievo,
l’espressione «vita, dolcezza e speranza
nostra».
Per
il credente contemplare l’Immacolata significa cogliere nella Vergine
la donna orientata verso l’alto, non curva sotto il peso del peccato;
aperta all’amore di Dio, degli uomini, della creazione, non ripiegata
su se stessa; la figlia prediletta del Padre (cf LG
53), che reca fin dal principio della sua esistenza «il sigillo di Dio
sulla fronte» (Ap 9,4), non una schiava segnata dal marchio del nemico del genere
umano.7
In
Maria immacolata, donna storica dal cuore indiviso e opposto alla
discordia, si è resa viva e concreta la speranza dell’umanità che
cerca un futuro di pace e di giustizia, di armonia e di fraternità.
Il concepimento immacolato di Maria non esime la Vergine, pur
colmata di grazia (cf Lc
1,28), dalla sua condizione terrena con tutto ciò che essa comporta di
sofferenza e di opacità, di scelte libere e creative. Come discepola
del Figlio, anche Maria crebbe nella fede, progredì nella speranza
messa a dura prova, orientò il suo amore verginale verso Dio e verso
Giuseppe, verso il Figlio Gesù e verso la comunità ecclesiale, verso
gli uomini e le donne incontrate sul cammino della vita.
In
Maria immacolata risplende la forma vera e pura della bellezza senza
menzogna né turbamento; bellezza come splendore della verità e
riverbero della bontà; bellezza quale perfezione e armonia, semplicità
e trasparenza.
La Natività di Maria annuncio di speranza
L’8
settembre di ogni anno la Chiesa celebra la Natività di Maria come
evento salvifico che annuncia e prepara la nascita imminente del Messia
Salvatore. Luce, gioia, speranza, inizio della salvezza sono i temi
caratteristici della festività.
Giovanni
Damasceno († 749) nella celebre Omelia sulla Natività di Maria8
pronunciata a Gerusalemme nella chiesa di Santa Maria, eretta accanto
alla piscina probatica, proclama che Maria è la «speranza dei
cristiani». Rivolto alla Vergine il Damasceno dice: «Tu onore dei
sacerdoti, speranza dei cristiani,
pianta feconda della verginità».
L’omileta
si esprime al plurale: la Vergine è «speranza dei cristiani».
L’espressione indica che soggetto della speranza sono tutti i fedeli:
a tutti è stata infusa nel battesimo la virtù della speranza e tutti
sono chiamati a coltivarla perché non si affievolisca o venga meno.
Inoltre parla come chi, esperto del cuore umano, si è immedesimato nei
sentimenti di tanti compagni di esilio; come chi, conoscitore del
progetto salvifico di Dio, sa che il Signore ci ha donato santa Maria
come guida sicura nel cammino verso la patria. Ecco perché in seguito
si stabilirà un rapporto intenso e rasserenante tra la Vergine e ogni
suo figlio. Ecco perché Maria verrà chiamata speranza dei peccatori,
che gemono oppressi dal peso delle loro colpe; speranza dei disperati
che camminano nel buio dello scoraggiamento; speranza degli afflitti,
dei miserabili, dei bisognosi... immensa turba di uomini e donne che
piangono la loro difficile situazione.9
Il
Damasceno termina il suo panegirico con una ardente preghiera in cui
chiama Maria «speranza di gioia»:
«O
figlia di Gioachino ed Anna e Regina, accogli la parola di un servo
peccatore, ma che arde d’amore e ha in te la sola speranza di gioia».
In
questo testo, soggetto della speranza è lo stesso omileta che dinanzi
alla Vergine si dichiara sì peccatore, ma ricolmo di fiducia. Egli ha
trovato la sua speranza di gioia in Maria, dal cui cuore è sgorgato il Magnificat:
canto di gioia e di speranza, canto non di superficiale sentimentalismo,
ma di forte denuncia profetica.10
Nell’«Orazione
dopo la comunione» dell’8 settembre – che è un invito alla gioia
– la liturgia prega:
«Esulti
la tua Chiesa, Signore,
rinnovata
da questi santi misteri,
nel
ricordo della Natività di Maria Vergine,
speranza e aurora di salvezza al mondo intero».
La
Chiesa esulta per la Nascita di Maria perché scorge in lei l’aurora
che annuncia, prelude e garantisce il sorgere del Sole; perché vede in
lei già presenti i «cieli nuovi e la terra nuova» (2Pt
3,13), che i cuori dei credenti aspettano e dei quali nell’eucaristia
hanno pregustato la gioia senza fine.
I
termini «speranza» e «aurora» non implicano già il pieno possesso,
ma sottolineano la tendenza alla pienezza e al possesso. Con la nascita
di Cristo la luce dell’aurora diverrà luce piena del giorno,
godimento pieno del bene sperato.
Maria
di Nazaret madre della speranza
La
Vergine dunque è aurora e motivo di speranza. La tradizione cristiana
l’invoca spesso con il titolo «Santa Maria della speranza». Esso
trae origine dall’atteggiamento di Maria in due eventi salvifici, che
la vedono protagonista: il primo, l’attesa del parto, quando lei,
gravida del Verbo, sta per dare alla luce Cristo, speranza dell’umanità;
il secondo, l’attesa di un nuovo parto, quando lei, piena di fede e di
speranza, attende che il Figlio deposto nella tomba risorga a
vita nuova e immortale.
Ma
cosa dire di altre espressioni, quali: «madre della speranza», «madre
della santa speranza», «madre della speranza dei fedeli»? Incontriamo
spesso queste invocazioni negli inni, nelle litanie, nei responsori
senza alcuna specificazione. È compito degli omileti, dei teologi,
degli autori spirituali interpretare tali titoli nel loro vero
significato. Essi implicano, tutti, una relazione, per così dire,
materno-filiale tra la Vergine e la speranza, relazione intesa a volte
in senso strettamente cristologico, altre volte in senso etico.
Maria madre del Dio con noi
sorgente di speranza
Tra
le testimonianze in cui il titolo Mater spei viene inteso in prospettiva
cristologica, si distingue l’inno Iubilus aureus beatae Mariae
Virginis di autore ignoto e risalente al secolo XIII-XIV. Delle 100
strofe dell’inno, l’ufficio di lettura per la memoria della
Presentazione di Maria (21 novembre) propone tre strofe,11
di cui a noi interessa la prima. Ecco il testo:
«Salve
mater misericordiae,
mater spei et mater veniae,
mater
Dei et mater gratiae,
mater
plena sanctae laetitiae».
(O Maria)
L’autore
fin dall’inizio del carme sembra orientato a salutare la Vergine
esplicitando la più alta missione e la massima gloria di Maria: essere
la «Madre di Dio». Il termine «madre» infatti ricorre sei volte
nella strofa, cinque volte riguarda la qualifica della sua maternità:
è madre misericordiae, spei,
veniae, Dei gratiae; la
sesta volta è accompagnato dall’attributo plena.
La Vergine non figura con il suo nome «Maria». Di certo non ve ne era
bisogno, poiché dal tempo di sant’Oddone di Cluny († 942), la madre
di Gesù era indicata con l’espressione «madre di misericordia».
Neppure il nome «Gesù» compare nella strofa: il Salvatore viene
presentato con il termine Deus e con i sostantivi sopra evocati. Gesù
è la «misericordia» incarnata, la «speranza della gloria» (Col
1,27), il «perdono» divino elargito agli uomini (cf 1Cor
1,30), la «grazia» che
dimora in lui con assoluta pienezza (cf Gv 1,18; Col
2,9).
Considerando
l’espressione «madre della speranza» sappiamo che essa trae origine
dal Siracide:
«Io
sono la madre del bell’amore,
del
timore, della conoscenza e della santa
speranza.
In
me vi è ogni grazia di vita e di verità,
in
me ogni speranza di vita e di forza» (Sir
24,24-25).
I
critici hanno considerato questi versetti, che non figurano
nell’originale ebraico, una aggiunta (glossa) cristiana. In ogni caso
sono presenti nella Volgata, la versione biblica di cui si sono nutrite
per secoli la pietà, l’omiletica e la teologia della Chiesa di
Occidente. Di fatto la Chiesa ha visto nel passo del Siracide 24,24 un’affermazione che esprime con efficacia un tratto
della fisionomia spirituale di Maria: madre del puro amore, della pietà,
della scienza, della fede, della santa speranza. Non v’è dubbio che
l’uso del cap. 24 del Siracide
come testo biblico delle messe della Vergine ha fortemente contribuito a
stabilire tra Maria e la speranza una relazione di tipo materno-filiale.
Gli
studiosi intendono la maternità a cui si riferisce la prima strofa
dell’inno Iubilus in senso strettamente cristologico. In sintesi possiamo dire
come procede la loro argomentazione: dal momento che Maria è madre di
Cristo-Dio «nostra speranza», «speranza della gloria», al dire
dell’Apostolo, ne consegue che ella è la «madre della nostra
speranza». La maternità di Maria viene considerata in relazione ai
titoli di Cristo. Cristo è vita, luce, misericordia, consolazione;
Maria è, di conseguenza, madre della vita, della luce, della
misericordia, della consolazione. L’appellativo biblico «Madre di Gesù»
diviene «Madre della speranza». Proprio perché è Madre di «Gesù-speranza
nostra», la Vergine, per la sua partecipazione all’essere e alla
missione di suo Figlio, è invocata semplicemente come «nostra speranza».
Si tratta di un procedimento che si spiega e si giustifica solo a
partire dalla maternità divina. Processo legittimo nella misura in cui,
dietro l’invocazione rivolta alla Vergine, si percepisce chiaramente
il fatto reale e d’immenso valore della maternità divina e salvifica
di Maria.
In
ogni caso una cosa è certa: l’orante, che si rivolge alla Vergine e
contempla il mistero della maternità divina, sa che alla luce della
riflessione teologica e dell’esperienza cultuale, Maria è la madre di
Cristo «misericordia», di Cristo nostra «riconciliazione, di Cristo
nostra «speranza» e nostra «grazia». Egli avverte che il suo cuore,
raggiunto dalla misericordia, è riconciliato con Dio, risollevato dalla
speranza, toccato dalla grazia, percorso da tranquilla letizia. In
questa esperienza il credente di oggi e l’ignoto autore del secolo
XIII-XIV si trovano a distanza ravvicinata.
La maternità di Maria
genera la speranza
Ma
vi è un secondo modo d’intendere l’espressione Mater
spei. Maria è «madre della
speranza», si afferma, perché con la sua intercessione e il suo
esempio genera nel nostro animo la virtù della speranza. In piena epoca
illuministica sant’Alfonso de’ Liguori († 1787), commentando ne Le
glorie di Maria l’espressione «spes nostra salve» della Salve
Regina, scrive:
«Con
ragione [...] la santa Chiesa applica a Maria le parole
dell’Ecclesiastico con cui la chiama Madre della speranza, la madre
che fa nascere in noi non già la speranza vana de’ beni miserabili e
transitori di questa vita, ma la speranza santa de’ beni immensi ed
eterni della vita beata».12
L’esempio
e l’intercessione della Vergine generano nell’animo del credente la
virtù della speranza. Ciò suppone che Maria da una parte sia vista
come singolare esempio di speranza, e dall’altra come una
interceditrice che tocca il cuore di suo Figlio e il cuore di tutti gli
altri suoi figli.
Due
testi eucologici del formulario «Beata Vergine Maria madre della
speranza» del Messale mariano,13
possono illuminarci circa questo secondo modo di intendere
l’espressione Mater spei. La colletta così prega:
O
Dio, che ci hai dato la gioia di venerare
la
Vergine Maria, madre della santa
speranza,
concedi
a noi, con il suo aiuto,
di elevare
fino alle realtà celesti gli orizzonti della speranza,
perché
impegnandoci all’edificazione della città terrena,
possiamo
giungere alla gioia perfetta,
meta del
nostro pellegrinaggio della fede.
Secondo
i liturgisti, l’espressione «madre della santa speranza» presente
nel testo va interpretata in senso morale-esemplare, in riferimento alla
virtù della speranza. Infatti, l’espressione «santa speranza», per
la presenza dell’aggettivo «santa», è letta di solito in rapporto
alla seconda virtù teologale. Maria «donna della speranza», per
l’azione svolta in favore del genere umano e per il valore esemplare
della sua testimonianza, genera la speranza nel cuore dei redenti: è
perciò la «madre della speranza».
Nell’orazione
dopo la comunione così si prega:
I
sacramenti della fede e della salvezza che abbiamo ricevuto,
nel ricordo di Maria, madre
della speranza,
ci
sostengano, o Padre, fra le prove della vita
e ci
rendano partecipi, insieme con lei,
del tuo
eterno amore.
Per
la menzione esplicita nell’orazione delle tre virtù teologali,
l’orante, di fronte all’espressione «madre della speranza»,
orienta spontaneamente il suo pensiero verso la virtù della speranza.
Donna di speranza teologale, Maria «ebbe fede e speranza come Abramo, e
più di Abramo, perché seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio,
sperando contro ogni speranza» (TMA 48).
Quasi
a commento dei due modi d’intendere l’espressione Mater
spei sopra descritti, il card. Anastasio Ballestrero, scriveva
qualche anno fa ai suoi fedeli di Torino: «Contemplare questa madre
della beata speranza può diventare per noi un cammino che rende tante
nostre strade meno aspre, meno impervie, meno disperate. C’è la luce
del suo cuore di madre e c’è anche la fermezza della sua speranza di
credente che può e deve diventare viatico per la nostra vita».14
In conclusione
«All’uomo
contemporaneo, non di rado tormentato tra l’angoscia e la speranza,
turbato nell’animo e diviso nel cuore [...] la beata Vegine Maria,
contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che già
possiede nella Città di Dio, offre una visione serena e una parola
rassicurante: la vittoria della speranza sull’angoscia, della
comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e
della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle
temporali, della vita sulla morte» (MC 57).
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